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lunedì 17 febbraio 2014

Recensione: Macross Frontier

MACROSS FRONTIER
Titolo originale: Macross F
Regia: Shoji Kawamori
Soggetto: Shoji Kawamori
Sceneggiatura: Hiroyuki Yoshino
Character Design: Risa Ebata, Yuuichi Takahashi
Mechanical Design: Junya Ishigaki, Takeshi Takakura, Shoji Kawamori
Musiche: Yoko Kanno
Studio: SATELIGHT
Formato: serie televisiva di 25 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2008


Il parere del Corà

I venticinque anni dalla prima messa in onda di Fortezza Super Dimensionale Macross (1982) sono evento importante per Shoji Kawamori, la sua carriera inizia ed esplode allo stesso tempo con un soggetto rivoluzionario che attinge a piene mani dal pop per portare musica, solarità e sfavillante cura estetica a un genere, il robotico, ancora in piena e totale trasformazione dopo l'evento di La Corazzata Spaziale Yamato (1977) e i tre film di Mobile Suit Gundam (1979): il fattore visivo diventa peculiarità esclusiva del lavoro di Kawamori, pur senza rinunciare a una storia romantica che, anche con qualche problema, sa presentarsi sempre fresca ed efficace. Il tempo dirà che replicarla tale e quale in seguiti-cloni di modesta caratura non sarà il massimo, ma fortunatamente la serie OVA Macross Zero, recente prequel (2002) dell'opera madre, raggiunge un perfetto equilibrio tra fastosità grafica, leggerezza sentimentale e centralità musicale con una gestione ottimale nel raccontare con la massima cura una storia molto semplice. Sulla sua stessa falsariga si può inquadrare questo ennesimo sequel Macross Frontier del 2008, prosieguo della saga anche se in realtà, come la precedente serie TV Macross 7 (1994), è più giusto definirlo un vero e proprio reboot, affidato alla sceneggiatura di un mestierante ideale per un simile progetto come Hiroyuki Yoshino, con cui raccontare nuovamente le avventure musical-spaziali di Hikaru Ichijyo, Lynn Minmay e Misa Hayase, che qui si reincarnano in Alto Saotome, Ranka Lee e Sheryl Nome.

Sono passati 47 anni dalla guerra con gli Zentradi, adesso amici dei terrestri e colleghi nella loro colonizzazione dello spazio con la Macross Frontier, la venticinquesima flotta coloniale che si sta dirigendo verso il centro della galassia. I nemici in questa occasione sono i Vajra, colossali e spietati insetti meccanici, a cui i terrestri sono costretti a dare battaglia attraverso i nuovi Valkyrie e l'immensa nave trasformabile Macross Quartier. Alto, ex attore di teatro kabuki, scontroso e raffinato, è un giovane e ambizioso pilota, diventa presto un eroe di guerra e si dividerà tra Sheryl, bellissima idol che viaggia tra le navi della flotta per incoraggiare i terrestri in questo duro momento, e Ranka, studentessa e cameriera, timida e impacciata che sogna una carriera da popstar. Bastano queste poche righe per rendersi conto non solo che la trama è bene o male puramente accessoria, ma che come al solito ricalca apertamente il primo Macross e Do You Remember Love? (1984) ammiccandoli e citandoli in continuazione tanto nella definizione dei personaggi (Ranka e Lynn lavorano entrambe al ristorante cinese) quanto in vere e proprie similitudini registiche (il salvataggio di Ranka, il saluto finale). 

A dover risaltare è chiaramente l'impatto grafico, con ventincinque anni di progressi tecnologici l'animazione ora raggiunge livelli impressionanti e infatti Macross Frontier è visivamente sbalorditivo, animazioni spaccamascella e virtuosismi registici rendono ogni battaglia addirittura stupefacente: Kawamori crea un blockbuster stordente e stellare, assistere alle trasformazioni dei caccia Valkyrie (mecha pesanti, complessi, colmi di dettagli e rifiniture meccaniche) e seguirli nelle loro evoluzioni spaziali rasenta spesso il sublime, si può tranquillamente parlare di una delle vette assolute mai raggiunte non solo dall'animazione robotica, ma dall'animazione universale. Ovvio infatti che l'opera vada in fondo assaporata prevalentemente per questa potentissima visività, di certo a un Macross non si chiedono trame contorte, approfondimenti psicologici e dialoghi realistici, ma se il fan dell'estetica robotica può essere facilmente accontentato va detto che la sceneggiatura, nella sua linearità e nel suo essere poco più che pretesto nasconde un inatteso coinvolgimento narrativo per merito di meccanismi chiari, semplici e raccontati con esperienza.


Se già il passato turbolento di Alto e i difficili rapporti con il padre lo rendono un personaggio leggermente diverso dal tipico eroe kawamoriano, la discreta analisi della ricaduta psicologica di Sheryl è gestita ottimamente nel susseguirsi degli episodi, così come la guerra sottile di sguardi che Ranka le lancia per raggiungere il cuore di Alto. A fare da contorno al solito triangolo amoroso c'è una buona varietà di altre storie d'amore più o meno sofferte e più o meno difficili da gestire (su tutte lo strano legame terrestre-zentradi tra Michel Blanc e Klan Klang), oltre a un classico seguito di intrighi politici, voltafaccia, passati angosciosi, immensi minacce aliene e vendette, e tutto viene esposto sì con superficialità e pura accessorialità, ma tra il ritmo calibrato alla perfezione, il giusto equilibrio tra ironia e squisitezze pop irresistibili (colonna sonora a cura di Yoko Kanno, e si sente) e la semplice simpatia scaturita dai vari personaggi (Alto compreso, pur nella sua vanteria da eroe arrivista), unite chiaramente a una regia dinamica e ispirata, rendono la visione mai pesante o esageratamente patinata, mai stupida o discutibile, bensì sempre fresca e leggera, molto piacevole anche durante i riempitivi musicosentimentali o le gag più becere.  

Ma la ricetta-Macross è sempre stata garantire spettacolo esaltante, un intrattenimento magnifico che non necessita di trame particolari e personaggi complessi (né, in questo caso, di un chara di qualche richiamo, invero piuttosto stanco e svogliatamente moderno): l'animazione di Kawamori sa esprimersi al meglio proprio quando ha i frutti più classici da spremere a fondo, non è materia che saprebbe controllare senza i suoi cliché legati alle faccende di cuore, i concerti e delle sane mazzate robotiche nella maniera più easy e volutamente pop li si possa immaginare e rappresentare (basti vedere il pasticcio combinato nel 2005 con Aquarion, nel tentativo di dare più sostanza e complessità narrativa). L'animazione è anche questa, e a volte non dispiace affatto abbeverarsene.

Voto: 7 su 10

Il parere del Mistè

Macross Frontier (2008) è indubbiamente uno dei successi commerciali dell'animazione nipponica più significativi degli ultimi 20 anni, è pacifico. È, del resto, il più grande campione di vendite della saga ad oggi. La terza serie TV del brand, uscita nel 2008 per commemorare il 25esimo anniversario della saga1, vende vagonate di DVD+BD2 (la tiratura di 50.000 dischi del primo volume è esaurita in un battibaleno3) e modellini di Vakyrie (i DX Chogokin di Bandai4), la colonna sonora di Yoko Kanno è una hit tale da raggiungere le 72.000 copie5 e infine le sue quattro sigle (due di chiusura, due di apertura) in totale sfondano il traguardo di mezzo milione di dischi venduti6. Addirittura, l'opera vince il prestigioso premio Seiun della critica nel 20097. Siamo finalmente al cospetto di un nuovo capolavoro, l'ultimo dai lontanissimi tempi di Do You Remember Love? (1984)? Ma neanche per sogno. Macross Frontier è l'ennesimo (ormai si è perso il conto) titoletto mediocre della saga, tutta estetica e zero contenuti, ideato e scritto nel modo più svogliato possibile: un giocattolone milionario dedicato esclusivamente ai soliti otaku giapponesi che il regista Shoji Kawamori dimostra di conoscere molto bene (del resto, essendolo lui stesso...), dato che infarcisce la storia di tutti quegli elementi di corollario per cui vanno in brodo di giuggiole e in tempesta onanistica fregandosene del resto. Mecha sbrilluccicanti e strapieni di dettagli che si danno battaglia in scontri iperveloci e zeppi di esplosioni, belle ragazze per cui eccitarsi, coloratissima e ammiccante estetica pop, personaggi-archetipi modaioli (la pettanko moe, la loli, la tsundere superfiga, la meganekko tettona, lo shotacon and so on), protagoniste idol che cantano vestite da mignotte, qualche velata scena di sesso per far sembrare il prodotto più maturo di quanto in realtà non sia, un'acquazzone di brani musicali pop usati come sigle o insert song (tra inediti e varianti di brani famosi nella saga si toccano le 40 unità), milioni di riferimenti e citazioni dei Macross precedenti (specialmente Macross Zero, a cui si riallaccia la stessa trama)... Davvero, la festa dell'originalità.

La storia: nell'anno 2059, la 25esima flotta di colonizzazione terrestre, la Macross Frontier, si dirige verso il centro dell'universo in cerca di nuovi pianeti abitabili. Il nuovo nemico alieno che incontrerà stavolta sarà una razza di molesti insettoni, i Vajira, e per combatterli sarà quindi utilizzata una forza militare, la S.M.S. (Stretegic Military Services), che li affronterà a bordo dei nuovi modelli robotici, i VF-25 Messiah. Protagonista della vicenda è un pilota, Alto Saotome, ex attore di teatro Kabuki in rotta con la famiglia, che si troverà sentimentalmente conteso da due idol le cui canzoni saranno (ancora una volta) utilizzate contro il nemico: la famosissima Sheryl Nome e la nuova promettente stella, Ranka Lee, dal passato immancabilmente misterioso. In verità, però, all'ombra della guerra con gli insettoni risiede un preciso piano politico delle autorità terrestri per guadagnarci sopra...

Ora, penso sia impossibile non paragonare, per importanza storica, la saga di Macross a quella di Gundam, per spiegare perché, anche se entrambe sono sempre andate avanti per titoli che sono uno la fotocopia (con qualche variazione) dell'altro, il confronto qualitativo fra i due sia sempre stato così impietoso. Si potrebbe puntare il dito sul fatto che l'epopea gundamica si è sempre contraddistinta da capitoli che si susseguono al ritmo (circa) di uno all'anno e che quindi è inevitabile il riciclo di idee, rispetto a un Macross che a mio parere è inaccettabile che ogni paio di lustri - quando insomma ha tutto il tempo di sviluppare qualcosa di nuovo - ti riproponga un remake quasi sputato delle serie televisive precedenti, in cui narrativamente tutto si ripropone senza variazioni (ennesima razza sconosciuta di alieni che attacca l'ennesima flotta del Macross che solca lo spazio, eroe pilota al centro di un triangolo amoroso che concerne una o due cantanti, queste ultime che diventano con le loro canzoni l'arma terreste contro il nemico, e sempre la stessa tipologia di attori che replicano in eterno gli stessi ruoli dei loro predecessori), ma sarebbe comunque un'opinione estremamente soggettiva e riduttiva. L'unica differenza davvero sostanziale è che Yoshiyuki Tomino è un vero autore, che sa mostrare le solite cose analizzandole sotto molteplici sfumature e punti di vista spesso originali (principalmente coi suoi dialoghi filosofici), mentre Kawamori un otaku che si crede più bravo e intellettuale degli altri suoi simili (basti pensare alle bestialità complottiste e ambientaliste che riversa nel suo pur ambiziosissimo Arjuna la ragazza Terra, 2001) ma non è, per la verità, tanto distante da un Michael Bay americano, dato la sua filosofia "facilotta" nell'affrontare tematiche, scene o dialoghi adulti con un piglio spettacoloso e "maschio" del tutto inverosimile e a tratti involontariamente ridicolo.


Non si possono più sopportare i suoi personaggi "otakuggianti", ammiccanti ma fuori dal mondo (l'odiosa e piatta Ranka, con i capelli verdi dall'improponibile acconciatura e dalla sensibilità piagnona di una bambina di 5 anni, per speculare sul maledetto feticismo del moe!); le storielline amorose che sfruttano ogni più patetico cliché (quante volte in Macross Frontier vediamo una delle due ragazze origliare o vedere di nascosto quello che sta facendo la rivale con Alto, o i soliti "baci rubati" che ormai sono la norma?) e umorismo scontato (Alto che cade sulle tette di Sheryl, o la puntata ambientata in spiaggia) per andare avanti; il protagonista umanamente insignificante (come Hikaru Ichijyo!) che in questo caso, dati i suoi tratti femminei, è inquadrato in mille pose sensuali per far bagnare le fujoshi e farle fantasticare sul suo rapporto d'amicizia col "belloccio" Michel Blanc; i dialoghi action sofferenti ("tornerò da te, aspettami") sentiti un triliardo di volte in ogni serie mecha possibile e immaginabile; i risibili complotti politici o, peggio, quella onnipresente, opprimente sensazione di "patinato" che trasuda ogni fotogramma e ogni aspetto di narrazione, del suggerire le cose nel modo più politicamente corretto possibile.... E non parliamo degli immancabili comprimari che hanno la morte scritta in faccia e che poi, sì, muoiono per davvero (ma va'?). Al di là della deprecabile banalità "commerciale", narrativamente Macross Frontier è pure un rifacimento senz'anima, il più piatto e modaiolo possibile e scritto nel modo più lineare e scontato, della prima serie e di Macross 7 (1994), senza un'idea originale che sia una (addirittura la storia d'amore finisce nello stesso modo della serie del 1994, davvero furbo improntare la trama su questo e poi...). Esso è ormai anche dimentico del messaggio dell'originale, o meglio questo ha perso la sua coerenza nel mondo immaginario di cui si parla: si poteva accettare una riluttante Lynn Minmay che negli anni '80 accompagnava l'attacco finale della flotta federale contro gli zentradi cantando canzoni per mettere a disagio il nemico (scioccato dal concetto di "cultura"), ma ormai si è persa la bussola con le esagerazioni passate (Macross 7) e presenti e, francamente, provo imbarazzo a vedere ragazze scostumatissime cantare e sculettare sorridendo, nei campi di battaglia, mentre vedono militari morire come mosche davanti a loro... Macross è diventato una grottesca parodia di sé stesso.

Rovescio della medaglia? La serie è animata e disegnata molto, molto bene dallo studio SATELIGHT, con una cura quasi impensabile in TV. Altro che la porcheria low budget di Macross 7: la cel shading nei mecha è di alto livello, le esplosioni e distruzioni sono uno spettacolo e le movenze dei personaggi davvero realistiche. I disegni, poi, molto particolareggiati. Tanto di cappello. La colonna sonora pop di Yoko Kanno può piacere o meno (a me per niente, ad esempio, visto che mi sa di un "facilissimo ascolto" davvero eccessivo e irritante), ma le sue vendite milionarie sono un dato di fatto. Molto belle e riuscite le sigle, tra le quali spiccano, a mio modo di vedere, la seconda d'apertura (Lion) e la prima di chiusura (Diamond Cavasse). Insomma, non ho dubbi che Macross Frontier potrebbe piacere, per il suo approccio estetico e uditivo e il ritmo coinvolgente, a nuove generazioni di spettatori e ai soliti otaku arrapati, ma ritengo dimostri impietosamente, ai fan di vecchia data, tutta l'incapacità del suo creatore Kawamori di essere qualcosa di più di un semplice regista bollito che vive di gloria riflessa del passato e che non ha neanche più voglia di dire qualcosa di nuovo sulla creatura che lo ha reso famoso (bei tempi quando diceva che per lui l'esperienza macrossiana era conclusa dopo la serie storica, il film e l'OVA e che non ne avrebbe fatti altri per evitare la stagnazione di idee). Ci sarà pure un motivo, se a Macross Frontier do la valutazione che do e a un Mobile Suit Victory Gundam (1993) qualsiasi, altra serie fatta con "scazzo" (mi si perdoni l'informalità) dal suo creatore mostrando le stesse cose in modo ancora più scontato del solito, davvero una di tutt'altro livello.

Voto: 5 su 10

PREQUEL
Macross Zero (2002-2004; serie OVA)

SEQUEL
Macross Frontier the Movie: The False Diva (2009; film)
Macross Frontier the Movie: The Wings of Goodbye (2011; film)
Macross FB7: Listen To My Song! (2012; film)
Macross Delta (2016; TV)

ALTRO
Macross Fufonfia (2008; serie ONA)


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 467
2 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
3 Vedere punto 1, a pag. 468
4 Vedere punto 2
5 Vedere punto 1, a pag. 468
6 Come sopra
7 Come sopra

lunedì 4 novembre 2013

Recensione: Noein

NOEIN
Titolo originale: Noein - Mou Hitori no Kimi e
Regia: Kazuki Akane
Soggetto: Kazuki Akane
Sceneggiatura: Kazuki Akane, Hiroshi Ohnogi
Character Design: Takahiro Kishida
Musiche: Hikaru Nanase
Studio: SATELIGHT
Formato: serie televisiva di 24 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2005 - 2006
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit


Quindici anni nel futuro, la stabilità di La’cryma è minata dal mondo di Shangri-La, un’entità dimensionale intenzionata a divorare ogni cosa. Di fronte all’evidente avvicinarsi della catastrofe, l’Ordine dei Cavalieri del Drago invia i suoi uomini tra le pieghe dello spazio e del tempo per trovare l’enigmatica Catena del Drago, l’unica cosa in grado di garantire ancora un’esistenza al loro mondo. Nel presente, la giovane Haruka si ritrova in mezzo a uno scontro guidato dal misterioso Karasu, e scopre di essere proprio lei ciò che i Cavalieri stanno cercando…

Come spesso accade in certa animazione giapponese, all’interno di quelle opere che sanno di poter dare un qualcosa in più a un pubblico più attento e favorevole a una maggior profondità, Noein sfrutta il suo spiccato e fortissimo carattere sci-fi, una fantascienza pura, solida e dettagliata, per parlare d’altro, quell’altro che una buona fetta di autori trova sempre stimolante approfondire, rendendolo, spesso anche incredibilmente, protagonista di pensieri e riflessioni che non si accavallano mai gli uni sugli altri, non si copiano né tentano di gridare per primeggiare, ma che lentamente, in maniera sottile e con grande intelligenza, tracciano quadri pieno di sentimento e di naturalezza come solo l’animazione giapponese sa fare. L’adolescenza vissuta dalla spensierata ma forte Haruka e dai suoi amici trova in quest’opera una quotidianità che poche altre opere hanno saputo incorniciare con tratti così sensibili e semplici, una quotidianità che non significa per forza slice of life nella sua accezione che ormai conosciamo come genere vero e proprio nello sterminato panorama televisivo, ma una vera e propria crescita attraverso i classici argomenti che ovviamente sono i cardini di quell’età: l’amicizia, l’amore, i litigi che tutto distruggono e che tanto semplicemente possono essere risolti. E questo perché la sceneggiatura di Ohnogi e Akane non mette paletti né cerca di incastrare la vita dei cinque protagonisti all’interno di una storia che avanza di puntata in puntata, ma usa proprio la vita stessa dei ragazzi per creare una storia capace non soltanto di dipanarsi orizzontalmente nelle gioie e nei drammi dei giorni che passano, ma anche di associarsi a un roboante, complesso e affascinante intreccio fantascientifico imbevuto prevalentemente di meccanica quantistica.

Dimensioni parallele e viaggi nel tempo sono interpreti principali di una storia che viene svelata senza fretta, nella sua prima metà il mostrato è infatti dominante sullo spiegato, e il fascino evocato dal forte impatto visivo non manca mai nemmeno quando i tasselli iniziano a trovare il loro posto. Le strane meccaniche attraverso le quali gli uomini del futuro entrano in contatto con il passato (bizzarri macchinari con tubi che travalicano le dimensioni spazio-tempo), le impressionanti macchine da guerra di Shangri-La (colossali teste umane configurate da navi da battaglie attraverso braccia e gamba che spuntano come armi gigantesche) o le apparizioni del maestoso anello dimensionale Uroboro trovano adeguata spiegazione con la progressiva conoscenza di fisiche e immaginari alieni che altrettanto progressivamente inizia a comprendere Haruka. La perfezione chirurgica con cui Ohnogi e Akane hanno creato questo universo è tale per cui anche la presenza, all’inizio esageratamente straniante, di scontri e combattimenti con tanto di emissioni di scariche elettriche e onde energetiche varie, permette di ignorare gradualmente l’esteriorità pseudo-magica e vagamente shonen per ricredersi nel momento in cui si assimilano le complesse dinamiche che regolano il mondo di La’cryma.


Dato l’invidiabile equilibrio tra aspetti così distanti si potrebbe per certi versi avvicinare Noein a un’esperienza videoludica da J-RPG, dove le lunghe sessioni di dialogo vengono alternate da fracassone mazzate, e forse non è un caso che le musiche di Hikaru Nanase, con quei flauti dal sapore folk e pixelloso e gli improvvisi boati dei cori, rimandino inevitabilmente alle sonorità tipiche del gioco di ruolo alla giapponese. Nonostante venga data fondamentale importanza, come già detto, a una narrazione credibile e intensa, Akane non manca di concedersi una grande potenza visiva attraverso un lavoro immaginifico e registico di immensa qualità: gli squarci di Shangri-La danno vita non soltanto a un’immaginazione pazzesca nella creazione di alcuni tra i più belli e fantasiosi nemici mai visti in animaziond, ma vengono diretti con tecnica disumana, tra piano sequenza vorticosi e carrellate rapidissime. Puro spettacolo action, aspetto di solito ignorato o quanto meno tenuto a bada quando sono la storia e soprattutto i personaggi a essere così imporanti.

È quindi un peccato che la potenza narrativa e visiva di Noein non trovi forse un’altrettanta forza quando le carte in gioco vengono finalmente rivelate, mostrando un’eccessiva lunghezza per arrivare a una risoluzione sicuramente prevedibile, o quanto meno attendibile, già molto prima: sembra infatti che Akane, per dare risalto al carattere psicologico e alle vicende di Haruka e dei suoi amici (con momenti, sia chiaro, di elevato studio comportamentale di fronte a eventi come divorzio, sottomissione familiare e morte), temporeggi sull’aspetto prevalentemente fantascientifico, ritardando così quegli incastri che si iniziano ad annusare mano a mano che si prende confidenza con le tecnologie e le regole di La’cryma. Il ruolo dell’esperimento in cui è coinvolto il padre di Haruka da una parte e la stessa volontà di Noein, villain miracolosamente tenuto misterioso fino alla fine, vengono rivelati con minor sorpresa rispetto a quella che era lecito aspettarsi da spunti tanto intriganti, spiazzanti e originali, accomodando l’opera su registri fantascientifici tipici di certa animazione, tematiche già affrontate in passato anche se, sicuramente, non con lo stesso rigore adoperato da Akane.

A questo bisognerebbe sommare il bizzarro chara di Takahiro Kishida, il suo tratto secco e fumettistico da una parte crea un’affascinante richiamo giovanile alla tematica principale dell’opera, ma dall’altra rende sinceramente bruttina l’esperienza visiva del quotidiano, tra visi piatti, capelli impossibili e stilizzazioni semplicistiche – nonostante l’alto livello tecnico dimostrato dalle animazioni made in SATELIGHT.


Rimane comunque inalterata l’impressione finale di un’opera che, come poche, tenta concretamente di dire e offrire qualcosa di nuovo, riuscendoci in parte, non mantenendo la perfezione fino alla fine, ma mostrando sentimenti e pazienza, emozioni e realtà con uno spessore che mai cede a quel qualunquismo a cui sarebbe stato tanto facile ricorrere.

Voto: 8 su 10

lunedì 4 marzo 2013

Recensione: Hellsing Ultimate

HELLSING ULTIMATE
Titolo originale: Hellsing Ultimate
Regia: Tomokazu Tokoro, Hiroyuki Tanaka, Yasuhiro Matsumura
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Kouta Hirano)
Sceneggiatura: Yousuke Kuroda
Character Design:  Ryoji Nakamori
Musiche: Hayato Matsuo
Studio: SATELIGHT, Mad House, Graphinica, Kelmadick
Formato: serie OVA di 10 episodi (durata ep. 50 min. circa)
Anni di uscita: 2006 - 2012


Già gonzato in TV con l’omonima serie GONZO del 2001, per poter esprimere al meglio i deliri splatter-grotteschi di Hellsing (1998) serviva non solo una trasposizione animata più fedele alla non-storia del manga, ma una produzione assai più generosa per imprimere al vampiro Alucard la maestosa, visionaria bizzarria delle sue azioni. Studio SATELIGHT inizia a produrre la serie OAV nel 2006 fino all’episodio 4, poi passa il testimone a Mad House fino al 7, e infine tocca alla collaborazione tra Graphinica e Kelmadick per gli ultimi tre episodi, non prima però di aver rivisto, sistemato e adattato graficamente i primi cinque agli standard attuali, per un totale di tre registi agli ordini dello sceneggiatore Yousuke Kuroda che concludono il tutto negli ultimi scampoli del 2012.

Una materia molto strana, questo Hellsing, 10 tankobon pubblicati in undici anni per raccontare quella che in fondo è “soltanto” una monumentale battaglia tra vampiri, cacciatori di vampiri, ghoul, preti guerrieri, nazisti e molto altro ancora, in un dispiego di esagerazioni soprannaturali e di tecniche di lotta tipiche degli shounen da combattimento ma senza mai abbassare le ambizioni di un’opera del tutto fuori di testa alla quale si può perdonare ogni cosa: horror, steampunk, splatter, comicità demenziale, il tutto in porzioni prive di alcun freno, un’esaltazione continua e gustosamente urlata di cliché orrorifici e ucronici innaffiata da litri, litri e litri di sangue. Una storia che, a dirla tutta, non inizia granché bene, presentandosi come poca cosa dal punto di vista della narrazione: un vampiro potentissimo che collabora con l’organizzazione di cacciatori di vampiri Hellsing, vampiri cattivi che uccidono innocenti, qualche mazzata sanguinolenta, e un ragazzetta, Seras, che viene vampirizzata diventando partner di battaglia di Alucard. Elementi banali e poco significativi, elettrizzati però dalla potenza visiva di una regia e di una messa in scena contorte, scellerate, sovradimensionate, dove tutto, ogni singolo, inutile dettaglio, diventa mezzo per puro, gasante spettacolo. Pistole lunghissime mostrate da complesse carrellate, proiettili rallentati, arti che si allungano e si piegano innaturalmente, auree malvage che si muovono dotate di vita propria, secchiate di sangue al rallenty, la regia si appiglia a qualunque cosa ingigantendola, e tutto viene sovrastato dallo sguardo folle del vampiro Alucard, in fondo spirito dell’opera – in quel sorriso assurdo, nelle sue movenze sottili come fosse fatto di ombra, nel suo trono insensato con uno schienale alto decine di metri, sta tutto ciò che Hellsing Ultimate è, ovvero pura e semplice follia.


Ancora resistente su certi binari narrativi nei primi episodi, dove uno straccio di storia sembra di una qualche importanza, dall’arrivo del Maggiore in poi la serie parte per una tangente stupendamente illogica e tamarra che migliora di puntata in puntata, restringendo qualsiasi avanzamento di storia per offrire una monumentale battaglia tra le strade infuocate di Londra, un tutto contro tutti di proporzioni sostanzialmente granitiche. Da una parte i Nazisti dell’organizzazione Millennium, pronti a conquistare il mondo con il loro carico di ghoul e invenzioni retrò-tecnologiche, dall’altra i preti combattenti del’organizzazione Iscariota XIII, e in mezzo Integra Fairbook Wingates Hellsing, a capo dell’organizzazione omonima, in qualche maniera fulcro dell’intera storia per il suo tragico passato, la sua tenacia e la sua forza nel contrastare le forze nemiche.

Personaggi gonfiati e caricaturali si susseguono di scontro in scontro, alternandosi tra simpatici deliri (il Maggiore che fischietta la mitica Tough Boy), devastanti assurdità (i fucili sempre più impossibili utilizzati da Seras) e incredibili vendette secolari – ne nasce quindi un picchiaduro divertentissimo che brilla sia nel suo non prendersi sul serio (i cammeo di Bruce Willis come coscienza di Alucard) sia quando mette un po’ di senno alla storia (il magnifico e lunghissimo discorso del Maggiore sulla malvagità umana, perfetto, nel registro adottato, per il target concettuale dell’opera). La forza di Hellsing Ultimate sta quindi nel carisma dei protagonisti e nel veicolo visivo con cui questo viene enfatizzato, e anche se la serie non si mantiene sempre sugli stessi standard (solo Tomokazu Tokoro, regista della prima tranche di episodi, riesce a imprimere quella meraviglia indefinita e impalpabile, quella roboante, disumana associazione di immagini) si rimane comunque stupiti da come una storia di questo tipo e con questi personaggi, da come una “semplice” scena di battaglia sviscerata dai punti di vista delle tre fazioni in gioco, possa tenere per quasi dieci ore, pur con le sue sbavature, pur con certe forzature, senza mai stancare. Difficile quindi addentrarsi nell’analisi della trama, sicuramente il manga è più attento e completo nell’approfondire i tanti personaggi e i loro legami, ma qui abbiamo una meraviglia visiva che equilibra qualsiasi mancanza, voluta o meno. Opera fondamentale per vedere i limiti che solo l’animazione può sfondare.


Nota: Hellsing Ultimate è stato distribuito in DVD in Italia dalla francese Kaze, con un doppiaggio di una bruttezza tale da essere superato solo dagli OVA di Black Lagoon (2006), sempre a "cura" della stessa casa distributrice. Il ritiro di Kaze dal suolo nostrano ci lascia in eredità giusto i primi 4 episodi, ripartiti in 4 DVD. Serie perciò interrotta.

Voto: 9 su 10

lunedì 3 ottobre 2011

Recensione: Ani-Kuri 15

ANI-KURI 15
Titolo originale: Ani-Kuri 15
Regia: Mahiro Maeda, Range Murata & Tatsuya Yabuta, Atsushi Takeuchi, Akemi Hayashi, Mamoru Oshii, Michael Arias, Satoshi Kon, Tobira Oda & Yasuyuki Shimizu, Makoto Shinkai, Shojiro Nishimi, Kazuto Nakazawa, Shoji Kawamori, Yasufumi Soejima, Shinji Kimura, Osamu Kobayashi
Studio: GONZO, Production I.G, GAINAX, Studio 4°C, Mad House, ComixWave, SATELIGHT
Formato: serie tv di 15 episodi (durata ep. 1 min. circa)
Anni di uscita: 2007 - 2008


Progetto innovativo e dalle grandi potenzialità Ani-Kuri 15, antologia di corti animati che, insieme ai due Genius Party quasi contemporanei, celebra il genio di alcuni dei più importanti animatori e registi anime contemporanei. Basato su tre "stagioni" animate da 5 episodi l'una, puntate dirette ciascuna da uno degli artisti ingaggiati e realizzate dai loro studi d'animazione prediletti, Ani-kuri 15 (abbreviazione di "Anime" e "Creators") stupisce sopratutto per la durata di ogni suo segmento: solo 1 minuto. Sessanta secondi nel quale ogni star cerca di imprimere la sua impronta personale, in tracce che possono essere visionarie, leggere o anche densissime di avvenimenti, un libero sfogo alla fantasia che partorisce un'opera interessante e autoriale.

Si ha inizio con Princess Onmitsu di Mahiro "Gankutsuou" Maeda e animato da GONZO, che più di ogni altra traccia frigge i neuroni raccontando con inumana velocità una storia avventurosa. Un minuto in cui la principessa omonima viene assalita da ninja assassini, il suo servitore robotico la difende, lei si trasforma col suo completo da battaglia, vincono la battaglia e hanno anche il tempo di affrontare il capo dei sicari che risiede in una nave volante e che tenta di conquistare con avances la ragazza. Tutto iper-dinamico e con dialoghi praticamente urlati e quasi incomprensibili. L'esplosione di colori vivaci e la follia garantiscono divertimento. Sempre GONZO anima Gyrospter di Range Murata e Tatsuya Yabuta, realizzato completamente con sua solita, onnipresente CG che abbiamo un po' tutti imparato a odiare. Una ragazza, con l'ausilio di una futuristica navicella, vola sopra a una maestosa architettura acquatica sospesa nel vuoto, in uno scenario fantasy/steampunk estremamente suggestivo. Peccato che poi tutto esplode senza senso, e la vicenda si chiuda in modo enigmatico e incolore.

Buono Wandaba Kiss di Atsushi Takeuchi e Production I.G: per ricevere il bacio della piccola Wandaba, il tenero bimbo protagonista deve superare una prova di coraggio diventando la pedina "umana" di una gigantesca macchina di Rube Goldberg. Intermezzo piacevole, sopratutto perché realizzato con chara bambinesco e color pastello in linea con le atmosfere sognanti che vuole evocare.

Accompagnato da una malinconica canzone, From the Other Side of the Tears di Akemi Hayashi e GAINAX narra lo strazio di una ragazza che ha appena chiuso col suo tipo. Un episodio abbastanza dimenticabile, ma almeno lo straziante brano musicale è piacevole da ascoltare. Risultato altrettanto negativo è Project Mermaid, forse il più deludente tra tutti se si considera che è realizzato da Oshii e Production I.G, rappresentando uno dei titoli di richiamo dell'intero progetto. Una sirena attraversa il cyberspazio fino a fuoriuscire nella realtà. E quindi? Tutto realizzato in CG vuota e fondali cibernetici insignificanti. Va bene che il regista si è costruito la fama sul cyberpunk del Ghost in the Shell animato, ma qui è palese la mancanza di ispirazione.

Frolicking di Michael Arias (Studio 4°C) si basa anch'esso sul nulla, ma è deliziosamente visionario: nelle sterminate campagne verdi di uno scenario indefinito e seducente, un gruppo di bambini gioca e corre insieme a un gigantesco automa. Atmosfere e ambientazioni che ricordano il Laputa del Castello nel cielo di Hayao Miyazaki, meravigliando con la stessa efficacia. Buon risultato anche l'episodio di Satoshi Kon, il suo tristemente ultimo lavoro da regista. Good Morning parla di una ragazza nel bel mezzo della veglia, in attesa di alzarsi dal letto, fare la doccia e prepararsi a iniziare una nuova giornata. Ben diretto e dal caratteristico stile grafico delle produzioni del regista, rappresenta benissimo le sensazioni provate quando ci si sveglia e non si riesce a connettere il cervello con le azioni che si stanno compiendo.

 
Sports Colonel Episode 18: The Assassin Comes to Hunt in the Mountains!! è la storia di un karateka, Colonnello, inseguito da un assassino chiamato Paul che per qualche motivo vuole ucciderlo. Cercando di evitare di mettere di mezzo i suoi due animali che lo seguono, un corvo e un orso, il protagonista andrà incontro a una ridicola sorte... "Bizzarro" è l'aggettivo giusto per definire l'episodio, realizzato com'è in un alienante b/n "fumettoso". Di Tobira Oda e Yasuyuki Shimizu, realizzato da Studio 4°C.

A Gathering of Cats è uno dei momenti migliori di Ani-Kuri 15: col consueto tratto dolce che gli compete, Makoto Shinkai torna a parlare dei sentimenti di un gatto verso i suoi padroni, riprendendo Lei e il gatto però in un'alternativa versione comica e a colori, visto che l'episodio parla dei divertenti sogni vendicativi del felino la cui coda viene continuamente pestata, inavvertitamente, dagli umani. Divertente e graficamente delizioso, realizzato da Comix Wave Film.

Invasion from Space: Hiroshi's Case è la storia di una navicella spaziale che, precipitata nella camera di un ragazzo (Hiroshi appunto), lo distrae ripetutamente facendo rumori, fino a squagliarsela al momento opportuno. Sketch anonimo e disegnato in modo poco interessante (sembra il tratto di Beavis & Butt-Head), ma interessante registicamente, realizzato com'è  in una singola inquadratura. Di Shojiro Nishimi e Studio 4°C. Altrettanto sperimentale è Yururu: Daily Chapter, di Kazuto Nakazawa e Studio 4°C, ripresa velocizzata del disegno di un fotogramma da parte di un animatore. Immagine che verrà poi colorata come risultato finale.

Un altro dei segmenti più riusciti è quello di Shoji "Macross" Kawamori, che nell'arco di sessanta secondi torna raccontare storie di robottoni con Project Omega, mostrando in che modo l'emittente televisiva NHK si difende dalla caduta di un asteroide. Divertente e realizzato con inserti di ottima CG dalla solita, grande SATELIGHT esperta nel settore. Computer graphic che invece non splende affatto in Heat Man di Yasufumi Sohjima, subito successivo ed episodio meno riuscito in assoluto: la confusionaria storiellina, ancora una volta a opera di GONZO e sempre in una CG mal fatta (al livello dei filmati della prima PlayStation), di una tribù indigena che affronta una belva posseduta da un qualche spirito... Curiosamente la puntata dopo è al contrario quella migliore: Attack of Azuma Area #2 è una divertente parodia delle invasioni extraterrestri americane anni 50, animata in una curiosa e multiforme CG, colma di umorismo demenziale e che si prende in giro da sola. Di Shinji Kimura e Studio 4°C.


Chiude l'opera il divertente Sancha Blues di Osamu Kobayashi e Mad House, che dopo BECK tornano ad ambientare una storia nel mondo della musica. Usufruendo di un originale chara designer "graffittaro", Sancha Blues ci fa conoscere un divertente vecchietto, proprietario di un negozio di dischi, che si sfrega le mani compiaciuto ogni qualvolta entra un cliente.

Ani-Kuri 15 non sarà, per concludere, nulla di epocale o di chissà che elevatissimo livello, ma trasuda carisma e, vista la sua breve durata e il senso di bizzarro che fa respirare in ognuna delle sue tracce, riesce davvero a dare forma e sostanza a 15 universi narrativi di grande fantasia che si fanno ricordare.

Voto: 7 su 10

lunedì 27 giugno 2011

Recensione: Ken - La leggenda di Raoul il dominatore del cielo

KEN: LA LEGGENDA DI RAOUL IL DOMINATORE DEL CIELO
Titolo originale: Raoh Gaiden - Ten no Haou
Regia: Masashi Abe
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Yuko Osada)
Sceneggiatura: Hiroshi Ohnogi
Character Design: Hirotaka Marufuji
Musiche: Kazuhiro Ishikawa
Studio: SATELIGHT
Formato: serie televisiva di 13 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2008
Disponibilità: edizione italiana in dvd & blu-ray a cura di Yamato Video


La storia di Raoul, uno dei tre fratelli di Hokuto che, all'indomani della fine della guerra nucleare, vive nel mondo di violenza che ha sempre sognato: con l'aiuto della divina arte di lotta e dei suoi fedeli vassalli Reina e Soga, il ragazzo si dà da fare nel creare un esercito che gli permetterà, finalmente, di stringere tra le mani il Creato.


Non si può non riconoscere, alla recente pentalogia cinematografica di Ken il guerriero, un successo travolgente capace di creare le premesse per una rinascita della saga. A testimoniarlo, come se non bastassero le grandi manifestazioni di fan che hanno accompagnato l'uscita dei vari film (con l'apice raggiunto nel "funerale pubblico" - con tanto di lacrime vere! - del personaggio immaginario di Raoul) e i grandi incassi, è sopratutto la fioritura del gran numero di spin-off cartacei dedicati alle personalità più amate della saga (addirittura sette ad ora, di Raoul, Toki, Jagger, Ryuken, Rei, Juza e Julia),. Ricordiamolo, le cinque produzioni animate che rileggono la prima serie tv  hanno avuto il merito di aggiustare gap e incongruenze che la saga si portava dietro da sempre (chi è la probabile madre del figlio di Raoul? Come ha fatto Julia a diventare sesto condottiero di Nanto?), con nuovi personaggi e svolte narrative che hanno di fatto cambiato alcuni tratti dell'intreccio originale. Si è creata così una nuova timeline, che pur raccontando degli stessi identici eventi ha apportato talmente tante, piccole differenze e rifiniture da costituire una rilettura del mito. Ecco il perché della fioritura di tutti questi manga interessati a raccontare retroscena della "seconda giovinezza" degli eroi, ed è da uno di questi, Raoh Gaiden - Ten no Hao, che nel 2008 per mano di SATELIGHT prende il via la prima serie televisiva del "nuovo corso" di Ken il guerriero, illustrante la giovinezza e ascesa al potere del futuro Re di Hokuto.

Fedele all'opera di Yuko Osada (conosciuto in Italia per le due serie di Toto), La leggenda di Raoul ne eredita tutti i pregi, insieme al suo unico, vero difetto: i disegni. È vero che ogni autore ha il suo stile, che bisogna apprezzare come sensibilità diverse diano il loro personale contributo grafico a un franchise importante, ma il tratto di Osada, come lo è nel manga, è fuori posto anche nell'adattamento animato. Disegni essenziali e semplicistici degni dello shonen meno curato i suoi, terribilmente inadatti e raccogliere l'eredità dello stile cupo, realistico e dettagliato di Hara. Risultato è un aspetto visivo che stride notevolmente con le atmosfere drammatiche che vorrebbe evocare la storia. Fortunatamente quest'ultima, se per i profani è ingiudicabile (indirizzata unicamente a chi sa tutto di Kenshiro - quest'ultimo ad esempio è sempre citato ma mai mostrato), per i fan è discretamente coinvolgente.


Con un divertimento maniacale nello strizzare l'occhio agli appassionati con ogni genere di omaggio, cameo e citazione, La leggenda di Raoul racconta la vita del futuro Re di Hokuto inserita in una trama corale che vede apparire e interagire numerosi eroi e nemici storici della saga, tutti nella loro giovinezza, sopratutto quelli che nel fumetto e nella serie animata d'origine hanno breve spazio. Assurgono così a ruoli di primo piano personalità come il viscido Yuda e i due fratelli di Julia, senza dimenticare Reina e Soga, spalle di Raoul inventate nella pentalogia, e new entries importanti come il maestro di Nanto Ryuro e Sakuya, bella stratega che si unisce alle forze di Raoul per misteriosi fini.

Se i temi trattati sono, inevitabilmente, sempre gli stessi, talmente abusati da risultare quasi stucchevoli (l'amore non ricambiato, il senso dell'onore e del rispetto per l'avversario, considerazioni etiche sulla dittatura quale medicina necessaria per l'ordine etc), è la progressione della storia che diventa il motivo d'interesse, con le avventure di Raoul e del suo esercito che si incastonano perfettamente negli avvenimenti della storia principale (terminando, idealmente, poco prima de La leggenda di Hokuto). Si trova così modo di fare chiarezza, come nei cinque recenti film, su molti aspetti mai trattati nelle incarnazioni animate, ad esempio come fa Raoul, da solo, a crearsi il suo esercito, come ha trovato e domato Re Nero, ciò che lo ha portato a perdere ogni umanità, ad accettare Ryuga nel suo esercito, e molti altri ghiotti retroscena che faranno la felicità dei maniaci di completezza e che donano nuova aura di mito a quello che in molti definirebbero il vero protagonista di Ken il guerriero. Certo, è uno sguardo ai retroscena di giusto un piccolo segmento della storia nella sua interezza, ma che sguardo! Contribuiscono all'esaltazione anche sigle potenti e memorabili come da tradizione, numerosi combattimenti e sangue cremisi che scorre e zampilli, copioso, dall'inizio alla fine, in intermezzi sanguinosi addirittura più splatter delle serie degli anni 80, seppur penalizzati dall'infantile aspetto visivo e dall'osceno color rosa dell'emoglobina.


Animazioni poco più che sufficienti (dallo studio di Shoji Kawamori inevitabile aspettarsi qualcosa di più) e musiche appena orecchiabili (niente più Yuki Kajiura) chiudono infine il giudizio tecnico sulla serie, che pur presentandosi giusto come approfondimento per soli appassionati rappresenta per loro una visione vorace e obbligata. Insieme al capitolo grafico, l'unica lieve stonatura si rintraccia in certi intermezzi psicologici molto contradditori con le personalità dei personaggi, indispensabili però per non rovinare la coerenza del mosaico (vedere l'esito dello scontro Raoul vs Yuda). Doppiaggio italiano discreto, con voci azzeccate nei personaggi principali ma ridicole negli altri.

mercoledì 24 febbraio 2010

Recensione: Macross Zero

MACROSS ZERO
Titolo originale: Macross Zero
Regia: Shoji Kawamori
Soggetto: Shoji Kawamori
Sceneggiatura: Shoji Kawamori, Hiroshi Ohnogi
Character Design: Takuya Saito
Mechanical Design: Shoji Kawamori, Kazutaka Miyatake
Musiche: Kuniaki Haishima
Studio: SATELIGHT
Formato: serie OVA di 5 episodi (durata ep. 31 min. circa)
Anni di uscita: 2002 - 2004


Un anno prima della riattivazione dell'SDF-1 Macross e delle enormi conseguenze che questo avrà sulla Terra, il nostro pianeta è infiammato dalla guerra decisiva tra l'esercito UN Spacy, favorevole al governo unico mondiale auspicato dall'O.N.U., e quello delle forze antigovernative. Il federale Shin Kudo, durante una battaglia aerea nel Sud Pacifico, affronta per la prima volta dei nemici in possesso di prototipi militari Variable Fighter, ed è subito abbattuto e fatto precipitare in un isolotto. Qui, il soldato fa conoscenza della tribù che abita l'isola, ancora legata alla religione e ai riti maya, e della bella sacerdotessa Sara Nome, capace di unirsi in simbiosi con la natura attraverso un rito ancestrale. Sempre più attratto da lei, il giovane si adatta presto ai costumi del posto, scoprendo dopo qualche tempo il segreto che lega la ragazza alle misteriose, antichissime tecnologie aliene che dimorano nelle profondità marine del posto; tecnologie che, purtroppo, sono contese dai nemici e sono in un qualche modo correlate alla leggenda dell'Uomo Uccello che spiega la nascita della vita sulla Terra...

Shoji Kawamori è sicuramente un grande pioniere tra i ricercatori delle infinite possibilità creative ed estetiche dell'animazione. Non pago di essere, nel 1982, tra i massimi artefici della rivoluzione culturale otaku a cui dà inizio Fortezza Super Dimensionale Macross, il famoso regista e mecha designer si fa ricordare nel 1994 anche come uno dei precursori nell'uso intensivo e riuscito della Computer Grafica negli anime, che inizia nello scialbo ma visivamente splendido Macross Plus e prosegue, trovando sempre più miglioramenti, soprattutto nelle produzioni in cui lui stesso è a capo -  quelle targate SATELIGHT, studio che presto diventa una delle migliori realtà in queste commistioni. Negli anni a venire saranno ovviamente compiuti molti passi avanti sull'argomento, anche da parte di altri studi di animazione, ma come è vero che tutto è dovuto, spetta spesso a Kawamori e SATELIGHT la gloria di ribadire la propria supremazia in questo campo. Nei primi anni del nuovo secolo, a dimostrarlo sono i 5 OVA che compongono Macross Zero, creato per celebrare il ventennale della saga, pubblicato in tre anni e che si ricorderà per un pezzo come un autentico gioiellino tecnico, ancora oggi invecchiato così bene da riuscire ancora a lasciare una più che discreta impressione per lo sfarzo rappresentato.

Si viaggia, per tutta la durata dell'opera, su livelli visivi elevati e degni del formato, per merito di un budget che permette una cura dettagliata e certosina di animazioni, fondali e personaggi. La CG, quasi onnipresente, è fusa in modo tale con la cel animation che a tratti è quasi difficile scovare le differenze e dire dove inizia una e finisce l'altra, trovando davvero una perfetta simbiosi che dà al tutto un appeal decisamente cinematografico e postmoderno. Ci si ritrova più volte catturati da scenari bellissimi - addirittura troppo per essere veri - composti da elaborati disegni a mano a cui sono artificialmente applicati motivi o effetti ambientali fotorealistici: foglie bagnate e gocciolanti, prati verdi che si piegano al vento, boscaglie che si flettono realisticamente all'avanzare di qualcuno o qualcosa,  paesaggi da cartolina (fondali marini, verdissime oasi), una fauna variegata e coloratissima (i mille pesci arcobaleno che nuotano nell'oceano), un mare che sembra vero... Non si poteva davvero raffigurare in modo più evocativo l'esotica isola tropicale teatro della vicenda. Macross Zero meriterebbe di essere visto solo per questo, per cogliere il potenziale dell'animazione giapponese al di fuori del giro dei milionari blockbuster Ghibli.  Lo spettacolo è tuttavia parzialmente ridimensionato dalla resa dei mezzi meccanici e dei Variable Fighter, penalizzati nella loro rappresentazione "action" - ma era inevitabile - dal livello raggiunto dalla CG nel 2002. Il difetto è tuttavia compensato dalla coreografia dei duelli aerei: di fatto, un insieme di idee visive sparate a velocità iperbolica, inseguimenti fulminei e caotici in cell shading dati da un continuo bombardamento di esplosioni, danni che si ripercuotono in tempo reale sull'ambiente, acrobazie, dettagliatissime visuali interne dell'abitacolo disegnate a mano (per stemperare la bruttezza del look esterno) e disegni del paesaggio per la metà ancora in CG e per l'altra in cel animation di grande livello. Non si salva invece il character design: lo stile realistico di Takuya Saito, davvero generico e privo di grande attrattiva, è quasi un pugno in un occhio se paragonato ai "sognanti" disegni classici di Haruhiko Mikimoto: Roy Fokker, l'unico personaggio del cast originale a essere usato anche nella vicenda di Macross Zero, è fisicamente quasi un'altra persona, non ritengo sia stata una grande idea quella di raffigurare due momenti storici precisi (ovviamente appartenenti a una realtà immaginaria) con uno stile visivo così distante. Tuttavia, queste ultime sono piccole storpiature che nulla tolgono all'esperienza: non è sbagliato dire che Macross Zero trova un fascino enorme e forse addirittura irripetibile nella suggestione visiva che supera quella narrativa, e certe scene strabilianti come la natura che si risveglia e fiorisce con il canto celestiale della sacerdotessa Sara valgono da sole il prezzo del biglietto.


Di fronte a una simile bellezza sarebbe facile temere un altro buco nell'acqua in ambito contenutistico come avvenne Macross Plus o, peggio, nel terribile Macross 7 (1994), ma fortunatamente le cose, una volta tanto, non vanno così: Kawamori scrive un soggetto semplice e collaudato che funziona discretamente bene,  e ne affida la sceneggiatura al veterano Hiroshi Ohnogi (Mobile Suit Z Gundam, Mobile Suit Gundam SEED, Rahxephon), con cui già ha realizzato l'anno prima l'interessante ma non proprio riuscito Arjuna la ragazza Terra (anche citato nell'episodio 3). Gli ingredienti, bene o male, sono sempre gli stessi di tutti i Macross precedenti e futuri: storie d'amore (più di una) e triangoli amorosi (ovviamente Shin è invaghito di Sara ma gli fa occhi dolci la sorellina di lei, Mao Nome), lunghissimi combattimenti aerei, antagonisti cattivissimi, stereotipati e pure incompiuti (la sadica pilotessa antigoverntiva Nora Polyansky, che ha tanto screentime ma poi non si capisce bene a cosa dovrebbe servire), atmosfere apocalittiche, rivelazioni sconcertanti (e complottiste) su come gli alieni e la Protocultura abbiano influenzato la vita nell'universo... Macross Zero ribadisce come la saga, escluso il capostipite, non abbia mai poggiato le fondamenta su intrecci e idee particolarmente originali o elaborati, preferendo sempre, come fa Gundam, ripetere le stesse cose all'infinito, ma i personaggi principali, pur senza bucare lo schermo, funzionano e assolvono doverosamente ai loro compiti, il lato romance c'è ma non troppo invasivo o "totalitario" come in passato (zero paturnie amorose), i drammoni non mancano ma non sono in primissimo piano e la visione scorre liscia e interessante grazie al ritmo robusto, la spettacolarità action e le prelibatezze grafiche.

Alla fine, certo, non passerà alla Storia questa ordinaria avventura soldati cattivi che vogliono usare tecnologie aliene di un lontanissimo passato giocando con qualcosa troppo grande per loro (il "boss finale", nella conclusione, fa davvero sembrare di essere entrati in un J-RPG tra i più generici), dai trendy contorni new age (provenienti da Arjuna) e immancabili scontri tra scienza e religione e modernità e antichità (Shin riscopre la bellezza di vivere in un villaggio solo parzialmente contaminato dalla Rivoluzione Industriale, dagli usi e costumi tramandati da millenni, e dovrà ovviamente difenderlo da militari e scienziati senza scrupoli che vogliono studiare i suoi misteri soprannaturali legati alla religione del posto, yawn). Alcune trovate, poi, se non banali, sono quantomeno assurde e ingenuee a dir poco (la canzone celestiale tramandata dall'Uomo Uccello agli sciamani maya dell'isola, tramandata da saggio a saggio e arrivata intatta fino ai nostri giorni, cantata in francese!!). I collegamenti con la serie televisiva del 1982? Davvero labilissimi, tanto che si può guardare la miniserie senza aver visto l'originale, se si esclude un riferimento allo schianto del Macross sulla Terra e gli effetti di una certa parentesi sentimentale di Fokker (spiegano perché nell'originale lui è così disilluso sull'argomento): non è molto, e bisogna considerare che è anche più di quanto Kawamori volesse in principio dire (inizialmente in Macross Zero voleva solo raccontare la creazione dei primi prototipi Variable Fighter, poi, quando è ad Okinawa a compiere ricerche, vede alcuni caccia americani sorvolare l'isola in una simulazione antiterroristica in in seguito agli avvenimenti dell'11 settembre, e l'associazione mentale gli fa nascere in testa tutta la storia, con i suoi elementi folkloristici e religiosi1).


La serie, in definitiva, non aggiunge assolutamente nulla di rilevante alla saga, eppure penso che sotto un certo punto di vista sia infinitamente meglio una produzione del genere, leggera, ben raccontata e le cui pretese non si prendono troppo sul serio, che gli strazi dei precedenti Macross, o lunghissimi e interminabili, o low budget da far schifo, o dai personaggi prelevati di peso da un Harmony. Quest'opera è breve, dice tutto quello che c'è da dire senza dilungarsi, ha in sé tutti gli ingredienti macrossiani sfruttati dignitosamente ed è anche molto bella da vedere. Cosa chiedere di più?

Voto: 7 su 10

SEQUEL
Fortezza Super Dimensionale Macross (1982-1983; TV)
The Super Dimension Fortress Macross: Do You Remember Love? (1984; film)
The Super Dimension Fortress Macross: Flash Back 2012 (1987; OVA)
Macross Plus (1994-1995; serie OVA)
Macross Plus: Movie Edition (1995; film)
Macross 7 (1994-1995; TV)
Macross 7 The Movie: The Galaxy's Calling Me! (1995; film)
Macross Dynamite 7 (1997-1998; serie OVA)
Macross Frontier (2008; TV)
Macross Frontier The Movie: The False Diva (2009; film)
Macross Frontier The Movie: The Wings of Goodbye (2011; film)
Macross FB7: Listen To My Song! (2012; film)
Macross Delta (2016; TV)
The Super Dimension Fortress Macross II: Lovers Again (1992; serie OVA)


FONTI
1 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)

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