lunedì 31 maggio 2010

Recensione: The Melanchony of Haruhi Suzumiya (2009)

THE MELANCHONY OF HARUHI SUZUMIYA (2009)
Titolo originale: Suzumiya Haruhi no Yūutsu (2009)
Regia: Tatsuya Ishihara
Soggetto: Nagaru Tanigawa (basato sui suoi romanzi originali)
Sceneggiatura: Haruhi e i suoi amici (Fumihiko Shimo, Joe Ito, Katsuhiko Muramoto, Nagaru Tanigawa, Shoji Gato, Tatsuya Ishihara, Yasuhiro Takemoto)
Character Design: Noizi Ito (originale), Shoko Ikeda
Musiche: Satoru Kosaki
Studio: Kyoto Animation
Formato: serie televisiva di 28 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2009

 
Haruhi Suzumiya è annoiata: introversa studentessa delle superiori, vive nel suo malinconico mondo in attesa di comunicare con gli alieni. Attira l'attenzione del suo compagno di classe Kyon che, rotto il ghiaccio, la convince a fondare un club per rompere la monotonia di tutti i giorni: nasce la Brigata SOS, che presto si trova coinvolta in tutte le pazze idee della vulcanica ragazza. Non in molti immaginano però che Haruhi è ben lungi dal potersi definire un semplice essere umano; in grado, com'è, di estinguere l'intero universo senza neanche rendersene conto...

Quant'è labile il confine tra genio e presa in giro? Domanda complessa a cui tenta di rispondere Kyoto Animation con la versione 2009 de La malinconia di Haruhi Suzumiya. Sequel? remake? Di tutto e di più: rivoluzionando il concetto di "mungitura", lo studio entra nella Storia del marketing presentando una nuova versione di Haruhi. Per l'occasione l'opera è ritrasmessa da capo, questa volta in ordine di trasmissione cronologico, fusa però con quattordici episodi inseriti qua e là, atti a presentare i capitoli della light novel originale precedentemente inutilizzati. Per gioia di molti la versione "riveduta e corretta" del cult di Kyoto Animation si allunga così a 28 puntate: tanta nuova carne al fuoco varrà la spesa (e l'abbandono, nei rifiuti più vicini, dell'obsoleta edizione in dvd della prima serie)? Bella domanda. Inutile stare a commentare gli episodi della prima stagione, su cui mi sono espresso nell'altra recensione. Sono quelli nuovi che interessano e qui casca l'asino, perchè di questi quattordici solo nove trovano motivo d'esistere, aggiungendo alla storia originale due vicende di particolare interesse. Bocciati senza appello gli altri cinque, atti a illustrare un noioso e inutile "dietro le quinte" del film realizzato dalla Brigata SOS (The Adventures of Mikuru Asahina). Curiosamente, però, bisogna fare un appunto grande come una casa sui cosidetti episodi "valevoli". Nulla da dire sul primo, Bamboo Leaf Rhapsody, che fornisce nuovo background sull'identità e i poteri di Yuki Nagato. Il secondo meriterebbe un trattato e non per nulla sarà considerato, dai fan di Haruhi, o il punto più basso o quello più alto della creatività di Kyoto Animation: Endless Eight.

Endless Eight, ossia l'episodio 12 ripetuto per ben otto volte, nel quale Kyon e Yuki continuano all'infinito a ripetere le vacanze estive per colpa di un loop temporale generato inconsciamente da Haruhi. Una genialata capace di far empatizzare come mai lo spettatore con i due sfigatissimi eroi ("otto volte sono troppe? Pensa a Yuki che lo sta subendo per 15.532esima volta!"), ma anche una sfida ai limiti più estremi della pazienza e della resistenza umana, un tour di autopunizione suprema per quei pochi audaci disposti ad arrivare fino in fondo. Molti fan accuseranno lo studio animato di spudoratezza estrema nel voler risparmiare sulle animazioni, ma questo non è vero perché ogni puntata di questo perverso ciclo, pur raccontando all'infinito la stessa vicenda, lo fa con storyboard, dialoghi e regia sempre diversi: Endless Eight si pone a metà tra genio puro e sciagurata mancanza di limiti.

 
Apprezzabile o meno, rimane da sè che, presa come tutt'uno (episodi vecchi insieme a quelli nuovi), questa nuova versione de La malinconia di Haruhi Suzumiya è sicuramente più pesante della precedente. Tutto sempre animato e doppiato benissimo, ma l'infausto Endless Eight e, sopratutto, le cinque nuove puntate inutili rendendono l'insieme meno spigliato e più inutilmente spiegazionistico, fornendo la classica impressione di brodo allungato. Trasmesso il tutto in ordine lineare, poi, la serie perde ancora una volta parte consistente del suo fascino. Consigliabile per chi non si è mai visto la prima stagione, ma ai fan storici la visione di questa riedizione può fare male.

Nota: la versione sottotitolata di riferimento contempla solo i quattrodici episodi inediti. Per sapere in che ordine guardare tutti e ventotto procuratevi anche quelli della prima stagione e guardate in questo ordine: The Melancholy of Haruhi Suzumiya I, The Melancholy of Haruhi Suzumiya II, The Melancholy of Haruhi Suzumiya III, The Melancholy of Haruhi Suzumiya IV, The Melancholy of Haruhi Suzumiya V, The Melancholy of Haruhi Suzumiya VI, The Boredom of Haruhi Suzumiya, Bamboo Leaf Rhapsody, Mystérique Sign, Remote Island Syndrome I, Remote Island Syndrome II, Endless Eight, Endless Eight, Endless Eight, Endless Eight, Endless Eight, Endless Eight, Endless Eight, Endless Eight, The Sigh of Haruhi Suzumiya I, The Sigh of Haruhi Suzumiya II, The Sigh of Haruhi Suzumiya III, The Sigh of Haruhi Suzumiya IV, The Sigh of Haruhi Suzumiya V, The Adventures of Mikuru Asahina Episode 00, Live Alive, The Day of Sagittarius, Someday in the Rain.

Voto: 6 su 10

PREQUEL

SEQUEL

venerdì 28 maggio 2010

Recensione: La malinconia di Haruhi Suzumiya

LA MALINCONIA DI HARUHI SUZUMIYA
Titolo originale: Suzumiya Haruhi no Yūutsu
Regia: Tatsuya Ishihara
Soggetto: Nagaru Tanigawa (basato sui suoi romanzi originali)
Sceneggiatura: Haruhi e i suoi amici (Fumihiko Shimo, Joe Ito, Katsuhiko Muramoto, Nagaru Tanigawa, Shoji Gato, Tatsuya Ishihara, Yutaka Yamamoto)
Character Design: Noizi Ito (originale), Shoko Ikeda
Musiche: Satoru Kosaki
Studio: Kyoto Animation
Formato: serie televisiva di 14 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2006
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit

Haruhi Suzumiya è annoiata: introversa studentessa delle superiori, vive nel suo malinconico mondo in attesa di comunicare con gli alieni. Attira l'attenzione del suo compagno di classe Kyon che, rotto il ghiaccio, la convince a fondare un club per rompere la monotonia di tutti i giorni: nasce la Brigata SOS, che presto si trova coinvolta in tutte le pazze idee della vulcanica ragazza. Non in molti immaginano però che Haruhi è ben lungi dal potersi definire un semplice essere umano; in grado, com'è, di estinguere l'intero universo senza neanche rendersene conto...

Slice of life, commedia, ambientazioni scolastiche, fantascienza apocalittica e citazioni anime nella migliore tradizione GAINAX: di sicuro non si può accusare Suzumiya Haruhi no Yūutsu di peccare di originalità. Nasce nel 2003 come light novel scritta da Nagaru Tanigawa, 9 volumi (ad ora) che celebrano una delle più bizzarre storie sci-fi, e tre anni dopo arriva la versione animata. Se già bastano i romanzi a dare un'idea della fantasia sfrenata dell'autore, nel mondo della celluloide La malinconia di Haruhi Suzumiya esplora, se possibile, ulteriori strade narrative, consegnando all'altare dell'originalità una serie che è diventata culto, in Giappone e nel mondo, fin dal primo episodio.

Tutto è confezionato con la cura dovuta alle opere ambiziose: animazioni di ottimo livello, motivetti musicali semplici ma accattivanti che sottolineano la "quotidianità" provata dai personaggi della serie, doppiaggio strepitoso (memorabile Aya Hirano sulla scatenata Haruhi e Yuko Goto sulla pucciosissima Mikuru). Ma il vero colpo di genio è l'ordine di trasmissione degli episodi: sullo stile di Pulp Fiction, 21 grammi etc, la serie costringe lo spettatore a ricostruire da solo il mosaico narrativo, trasmettendo in ordine casuale tutte le puntate (avventure in due parti comprese). Trovata fantastica che però, soppressa in tutte le edizioni dvd, nostra compresa, per far spazio a una disposizione lineare e cronologica, dissipa notevolmente il fascino dell'opera. Sia chiaro, pur spogliato dalla sua originale struttura narrativa Haruhi intrattiene comunque più che egregiamente: ci si affeziona ai membri della Brigata SOS e con loro ci si diverte delle pazzie dell'energica Haruhi, delle incredibili avventure quotidiane, del perenne bofonchiare del sempre scazzato Kyon, dei numerosi omaggi all'animazione (eccezionale la puntata dove Haruhi e co. parodizzano Legend of the Galactic Heroes). Si apprezza, sopratutto, il folle alternarsi di episodi solari con altri di fantascienza pura, riferiti all'identità di Haruhi (non è azzardato definire la serie un remake "scolastico" di Ideon) e all'assurdo background narrativo comprensivo di viaggi nel tempo, alieni, killer del futuro e dimensioni parallele. Però c'è poco da fare: con la trovata di ripristinare l'ordine "corretto" della trasmissione degli episodi Kyoto Animation fa perdere notevolmente carisma al suo gioiellino, facendogli venire meno quell' aura di genuina "follia" che ironicamente è uno dei massimi artefici del suo successo.

 
Il problema è che La malinconia di Haruhi Suzumiya, visto nel modo "normale", è "solo" una serie frizzante e piacevole. Non annoia, mette di buon umore e reca in sè tutti gli elementi giusti per quel riscontro di pubblico immenso che alla fine avrà (c'è anche la classica sigla cantata e ballata dai protagonisti, che diviene, come quella di King Gainer, un inno per otaku e cosplayer), ma è ben al di là del potersi definire memorabile. Lo si guarda con piacere, fa sorridere e ha protagonisti simpatici, ma non si ride mai veramente di gusto e, data la sua natura di slice of life, manca di una vera trama portante. Il tutto è colorato, pulito, animato benissimo e con bei momenti, ma mai si riesce definirlo in modo migliore di "molto carino". Togliendogli la trasmissione casuale degli episodi si elimina la sua anima. Visto nel modo originale, La malinconia di Haruhi Suzumiya è un adorabile concentrato di freschezza e una sapiente commistione di generi e idee, che non mancherà di stupire chi è in cerca di qualcosa diverso dal solito. Nel modo purtroppo "ufficiale" non è niente di più che una simpatica serietta scolastica con dei buoni momenti di fantascienza, ma decisamente incolore. Rimane da sè che rimane un ottimo acquisto, paradossalmente da buttare nel cestino qualora Dynit porti un giorno in Italia la seconda stagione, creata "fondendo" questa con 14 nuovi episodi...

Per concludere, chiunque possiede l'edizione italiana in dvd e vuole vedere le puntate nell'ordine caotico originale, segua quest'ordine di episodi: Le avventure di Mikuru Asahina episodio 00 - La malinconia di Haruhi Suzumiya I - La malinconia di Haruhi Suzumiya II - La noia di Haruhi Suzumiya - La malinconia di Haruhi Suzumiya III - Sindrome dell’isola sperduta 1a parte - Misterique Sign - Sindrome dell’isola sperduta 2a parte - Someday In The Rain - La malinconia di Haruhi Suzumiya IV - Il giorno del sagittario - Live Alive - La malinconia di Haruhi Suzumiya V - La malinconia di Haruhi Suzumiya VI.

Voto: 7 su 10

SEQUEL
The Melanchony of Haruhi Suzumiya (2009) (2009; tv)
The Disappearance of Haruhi Suzumiya (2010; film)

ALTRO
The Melancholy of Haruhi-chan Suzumiya (2009; ona)
Nyorōn Churuya-san (2009, ona)

mercoledì 26 maggio 2010

Recensione: Armored Trooper Votoms - Pailsen Files

ARMORED TROOPER VOTOMS - PAILSEN FILES
Titolo originale: Sōkō Kihei Votoms - Pailsen Files
Regia: Ryousuke Takahashi
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Soji Yoshikawa
Character Design: Norio Shioyama
Mechanical Design: Kunio Okawara
Musiche: Hiroki Inui, Yasuaki Maejima
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 12 episodi (durata ep. 25 min. circa)
Anni di uscita: 2007 - 2008

 
Astragius History, anno 7112. Yoran Pailsen è processato dalla corte militare di Gilgamesh per i suoi crimini (narrati su Roots of Ambition): Fedok Wokkam, sottosegretario all'Intelligence e membro dell'Organizzazione Segreta, riesce a sospendere il giudizio della corte, trattenendo l'imputato nel centro medico del pianeta Kuzsuk. Qui Wokkam e i suoi uomini interrogano Pailsen in merito ai cosidetti "Pailsen Files", risultati delle ricerche condotte su Chirico contenuti all'interno di un dischetto rovinato, allo stesso tempo perseverando a indagare sul ragazzo...

Pailsen Files rappresenta la rinascita del franchise Votoms, dopo la lunga pausa di quindici anni che lo ha colto con The Heretic Saint che sembrava averne scritto la fine. Rappresenta un nuovo tassello del passato di Chirico, ripartendo esattamente da dove concludeva Roots of Ambition, con Pailsen davanti alla corte marziale per aver distrutto la base Gilgamesh di Odon. La storia diventa così la riproposizione, senza molta fantasia, di tutto ciò che s'è visto nel predecessore: per l'intera durata della miniserie Chirico e la sua squadra devono affrontare numerose prove in cui rischieranno la vita (solitamente operazioni di guerriglia contro Balarant), venendo continuamente analizzati dall'Organizzazione Segreta, fino allo scontato, tragico epilogo nel quale il cerchio si chiude e nuovi tasselli del mosaico verranno svelati, come il modo in cui Pailsen entra nei massimi vertici dell'esercito di Gilgamesh, che ruolo ha Rochina in esso, e di come si sia tentato di creare, per la prima volta, un soldato artificiale. Nulla di necessario per comprendere i futuri sviluppi dell'avventura di Chirico, ma pur con uno script tutt'altro che favoloso il risultato rimane apprezzabile.

Pur realizzato spudoratamente al risparmio per lucrare sui fan di vecchia data (non si spiegherebbe altrimenti l'uso, prima volta nella saga, della CG più economica e pacchiana mai vista prima per animare gli AT, osteggiata con disprezzo dallo stesso Takahashi), Pailsen Files è l'episodio più spiccatamente moderno dell'epopea, con tutti i pregi e difetti che ne conseguono. I primi rintracciabili nel ritmo decisamente più spigliato, con tempi narrativi meno diluiti che fanno finalmente passare in secondo piano la controversa regia esageratamente lenta e "reale" di Ryousuke Takahashi, i secondi nella patinatura grafica che, se da un lato rende meno datato lo stile di disegno retrò di Norio Shioyama, dall'altro ne distrugge l'identità, appiattendolo, rendendolo troppo generico e patinato.


Una storia semplicistica di partenza forse non sarà il massimo della vita e, narrata attraverso ben 12 episodi, potrebbe pure sembrare l'apoteosi del banale, eppure questa serie OVA rimane piacevole, grazie a numerose sequenze di battaglia (tra la squadra di Chirico e l'esercito di Balarant) così spettacolari e ben realizzate da donare forti emozioni. Con un gusto registico dal sapore cinematografico ed effetti sonori stupefacenti, Takahashi filma scene di guerra che ricalcano le migliori pellicole di genere: basterebbe il solo primo episodio (lo sbarco di plotoni AT di Gilgamesh nella baia Taibas, rilettura fantascientifica dello sbarco in Normandia con migliaia di AT al posto di esseri umani) per realizzare l'ingegno del regista nell'evocare scene di distruzione di massa che meravigliano per epicità e costruzione scenica. E non siamo che all'inizio: nel corso dell'avventura sono diverse le operazioni militari realizzate in modo superlativo: meritevoli di menzione, in questo caso, l'attacco notturno alla base Balarant posta su un grand canyon, il claustrofobico attacco subito da Chirico e compagni dentro un velivolo distrutto, o la splendida battaglia sui ghiacci di Galeade (con tanto di spaventoso fenomeno atmosferico di maxi grandinata).

Pailsen Files ha personaggi piacevoli e una storiella banale, ma quest'ultima è onesta e raccontata molto bene, e sa tenere avvinghiati alla visione, con un ritmo narrativo lento ma imparagonabile agli eccessi autoriali del passato. Unici nei che impediscono all'opera di mirare troppo in alto, ovvio, sono la tendenziale semplicità della storia e sopratutto la già citata, pessima idea, di realizzare in completa computer graphic i mecha: una scelta veramente antipatica, inquadrabile anche come una forma di non rispetto per chi in Giappone ha speso soldi nell'aquistare gli OVA. Ignobile anche perchè da sempre Votoms è stato sinonimo di mecha design fisico e realistico, con disegni a mano animati in modo straordinario. In questo contesto il computer è freddo e incolore, incapace di fornire l'impressione di annusare l'odore dell'olio degli AT come succedeva negli anni '80. Non si può comunque essere troppo severi con quello che rimane un piacevole ritorno per i fan storici, non solo celebrativo ma anche di un certo interesse per la continuity. E, visti i capitoli successivi che saranno realizzati negli anni a seguire, si può dire con buona certezza che Pailsen Files sia l'ultimo Votoms ben realizzato.


Trascurabilissimo il film realizzato nel 2009: esclusa l'evocativa, inedita sequenza d'apertura (la cattura di Pailsen da parte delle autorità di Gilgamesh) e una fastidiosa OST elettronica, la restante parte di girato si configura un banale recap-movie privo di aggiunte di rilievo, del tutto identico all'originale se si esclude la brutta sintesi delle battaglie nei pianeti Lowmes e Galeade e la peggior caratterizzazione del cast. Va bene che la storia rimane comprensibile, ma non è certo in quella che Pailsen Files trova il suo interesse maggiore. Decisamente evitabile.

Voto: 7 su 10

PREQUEL
Armored Trooper Votoms: Red Shoulder Document - Roots of Ambition (1988; ova)

SEQUEL
Armored Trooper Votoms Pailsen Files: The Movie (2009; film)
Amor Hunter Mellowlink (1988-1989; ova)
Armored Trooper Votoms (1983-1984; tv)
Armored Trooper Votoms: The Last Red Shoulder (1985; ova)
Armored Trooper Votoms: Big Battle (1986; ova)
Armored Trooper Votoms: Case; Irvine (2010; ova)
Armored Trooper Votoms: The Heretic Saint (1994; ova)
Armored Trooper Votoms: Alone, again (2011; ova)
Armored Trooper Votoms: Phantom Arc (2010; ova)

lunedì 24 maggio 2010

Recensione: Conan il ragazzo del futuro

CONAN IL RAGAZZO DEL FUTURO
Titolo originale: Mirai Shounen Conan
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Alexander Key)
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki, Akihiro Nakano, Soji Yoshikawa
Character Design: Hayao Miyazaki
Mechanical Design: Hayao Miyazaki
Musiche: Shinichiro Ikebe
Studio: Nippon Animation
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 29 min. circa)
Anno di trasmissione: 1978
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit

 
In un futuro non troppo lontano, la Terza Guerra Mondiale ha distrutto la Terra così come la conosciamo, ridefinendone la geografia. Il giovane Conan vive in un isolotto disperso nel mare assieme al nonno, e crede che non sia sopravvissuto nessuno oltre a loro. Arriva però il giorno in cui naufraga sull'isola la graziosa Lana, ragazzina fuggita da Industria, città tecnologica governata dal tirannico Lepka che vorrebbe sottomettere il popolo utilizzando un nuovo tipo di energia, misteriosa, che solo il nonno della ragazzina conosce. Conan le diventa amico, ed è così che, quando Lana sarà rapita dagli scagnozzi di Industria, il ragazzo  inizierà una lunga odissea per salvarla e sconfiggere Lepka.

Molto conosciuto e apprezzato in Italia, Conan il ragazzo del futuro è giunto a noi in quei lontani, distanti anni Ottanta in cui spesso le emittenti private acquistavano i diritti degli anime più disparati per poi storpiarli sciaguratamente con adattamenti mediocri e imprecisi, quasi che il pubblico nostrano non meritasse una localizzazione curata visto che si trattava di semplici "cartoni animati". La sua prima versione tricolore, rovinata da modifiche inspiegabili, voci disumane e sghiribizzi inauditi (nella sigla d’apertura vengono addirittura cambiati i nomi di regista e sceneggiatore), non ha leso comunque quel fascino avventuroso, quella magia con cui il grande lavoro di Hayao Miyazaki ha saputo stupire grandi e piccini nel 1978.

Negli anni precedenti, il duo composto da lui e Isao Takahata ha sfornato alcune splendide serie televisive meisaku (Heidi nel 1974 e Marco - Dagli Appennini alle Alpi nel 1976), ma in esse Miyazaki ha svolto un ruolo abbastanza marginale curando i soli layout, ancora digiuno di una prima, prestigiosa regia da titolare. Il suo rimpianto consiste in un progetto mai realizzato, da lui depositato alla società di produzione animata/cinematografica TOHO a metà decennio, Kaitei Sekai Isshû (Giro del mondo in 80 giorni via mare), concernente una grande avventura vissuta da due orfani, fratello e sorella, depositari di un medaglione conenente un misterioso segreto, contesi da buffi pirati/delinquenti e una malvagia organizzazione e protagonisti di una lunga epopea che li vede girare il globo, con setting, ambientazioni e personaggi ispirati agli scritti di Jules Verne1. Per fatti che non ci è dato sapere, sorgono problemi a realizzarlo e non se ne fa niente. Quindi, tempo dopo, subentra la rete di stato NHK, che, stupita dagli alti indici di ascolto delle repliche di Corazzata Spaziale Yamato (1974) e, in generale, dalla grande riscoperta critica e popolare degli anime dell'ultimissimo periodo, decide, per il suo venticinquesimo anniversario, di realizzare una serie animata prestigiosa e d'avanguardia2 che possa contare, grazie ai soldi dei contribuenti, su un enorme budget (3/4 volte più grande, sembra, di quello di una normale serie TV3). Niente robot o fantascienza4, NHK vuole un'opera non violenta5, diretta a un target di bambini di 10/11 anni6, che duri quello che deve ma senza trascinarsi in milioni di riempitivi7, e quindi affida l'operazione a Nippon Animation, lo studio animato per antonomasia di storie dal carattere umanistico e quotidiano8, dandogli totale carta bianca sui contenuti9. Quest'ultimo sceglie quindi Miyazaki per la regia, il quale coinvolge, entusiasta, i suoi inseparabili amici Isao Takahata e Yasuo Otsuka10 (il primo agli storyboards e alla regia di singoli episodi, il secondo ai disegni). Trovato, infine, nel serioso romanzo The Incredibile Tide (1970) dello scrittore statunitense Alexander Key l'opera più affine al rimpianto Kaitei Sekai Isshû, Miyazaki lo rielabora interamente facendovi confluire dentro molti dei temi e delle idee del suo vecchio progetto (pur eliminando le trovate dei due fratellini orfani e il medaglione), reinterpretandolo in modo molto personale e trasformandolo in in fumettone d'avventura11.

I 26 episodi che ne escono, dall'inusuale lunghezza (quasi mezz'ora l'uno), incontrano una certa indifferenza nel pubblico giapponese trovando un modesto 10.52% di share12, con motivi da ricercare nell'orario di trasmissione (19:30, stessa fascia oraria dei concorrenti più agguerriti, soprattutto robotici), nel derivare da un romanzo occidentale semisconosciuto, nei problemi tecnici di trasmissione (per sei volte non viene rispettata la messa in onda) e nel fatto che la rete NHK era famosa all'epoca per i suoi programmi educativi, generando nel pubblico di allora  l'impressione di un  prodotto pedante13. Rivalutato giustamente negli anni successivi con le repliche14, Conan il ragazzo del futuro si riscopre forse il manifesto più completo, sincero e riuscito della poetica dell'autore, la sua prima opera davvero "personale" e importante e addirittura tra le più riuscite, degna di competere con gli affermati lungometraggi che realizzerà successivamente, un lavoro che mescola avventura e sci-fi con quel tocco incantato che permette ai bambini di sentirsi grandi e ai grandi di tornare bambini.


Le peripezie di Conan sono un avvincente concentrato di fughe, inseguimenti e scazzottate, dinamiche irresistibili di una vicenda spigliata e ironica, che veicola, con grande, commovente spontaneità, temi forti come la necessità di trovare un equilibrio fra natura e progresso tecnologico, la purezza e l'entusiasmo dei giovani che devono fare da esempio ai disillusi e ipocriti adulti, la creazione di un nuovo tipo di mondo non basato sulle regole del capitalismo selvaggio (addirittura paventando una rivoluzione simil-comunista), e  infine  come un glorioso futuro debba essere costruito da quelle generazioni di "nuovi uomini", figlie di chi ha conosciuto la guerra e la distruzione. Quest'ultimo è sicuramente il tema più importante dell'opera, e infatti, parlando del romanzo, Miyazaki dirà che il messaggio che lo aveva colpito di più era proprio quello che "alla caduta di qualsiasi grande civiltà prendono sempre il sopravvento dei primitivi, non intesi in termine negativo, ma come persone dotate di una grande forza vitale, piene di salute e che vogliono ricostruire un nuovo mondo. È la loro pulsione vitale che mi ha catturato15". Conan veicola un forte ottimismo in tutte le sue tematiche, che forse suoneranno (e lo sono) sognanti, ma hanno il merito di essere sincere, di riuscire per brevi istanti a convincere davvero lo spettatore, senza fargli la morale con pistolotti artificiosi (come possono essere quelli di alcune opere future), ma coinvolgendolo con divertimento e personaggi simpatici.

Si vive la serie spesso stregati dal carisma straripante di Conan e dalla sua forza sovrumana (indimenticabili le sequenze in cui si aggrappa a cornicioni, fili e bordi usando soltanto le dita dei piedi, o quando solleva massi giganteschi, merito di animazioni stratosferiche e curate come non mai da Otsuka), dalla toccante maturazione della bella e aggressiva Monsley, ufficiale di Industria, e dall’assurdo, egoista, arrogante, ma estremamente esilarante comportamento del capitano Dyce, che cambia bandiera ogni volta ne ha l'occasione. L’affetto che si prova per i personaggi nasce sin dai primi minuti, vuoi per la spavalderia giovanile, vuoi per le posture bizzarre, vuoi per il delizioso, buffo ed espressivissimo chara design, ed è questo a rendere immortale una serie incentrata sui buoni sentimenti e sull’infinita battaglia tra bene e male, permeandola di un’atmosfera magica che la rende curiosa, coinvolgente e suggestiva anche oggi, a distanza di oltre trent’anni dalla prima messa in onda. Tra genuino divertimento, fantasia negli ostacoli quotidianamente affrontati da Conan e compagni e il grande comparto tecnico, la serie trascende la sua età e, per la bontà dei suoi messaggi, è forse tra le opere animate tutt'ora più significative, quelle che sanno infondere il loro ottimismo verso il futuro a qualsiasi nuova generazione di spettatori.

Certi difetti di script non si possono negare (più di una volta la serie procede troppo lentamente come nella parentesi bucolica di High Harbor, l'eccessiva "azione" spesso toglie peso all'approfondimento degli attori, e alcune forzature per mandare avanti la storia rimangono eclatanti), così come sono inevitabili certi buonismi figli della visione sognante di Miyazaki, ma non infastidiscono più di tanto in un quadro generale che permette di assorbire senza dolore queste semplici concessioni a una certa linearità epica, che risultano, se non giustificate, quantomeno perdonabili in questo contesto. Tutti questi nei, infatti, spariscono come neve al sole nelle parti conclusive della vicenda, quando lo spettatore realizza quanto si è affezionato al cast e si commuove inevitabilmente con la poetica puntata finale che li saluta esaltando le morali della storia.



Degnato di una nuova localizzazione italiana, più fedele e adeguata, per una uscita in DVD a opera di Dynit, Conan il ragazzo del futuro è dunque visione consigliata a chiunque, amante dell’animazione o meno, seguace di Miyazaki o no. Siamo al cospetto di un’opera importante, per personaggi, storia e atmosfere, per emozioni e passione (e, non ultimo, per aver indirettamente contribuito, per uno screzio produttivo, a originare nel 1983 la grande serie TV Blue Gale Xabungle): privarsene sarebbe triste. I due film del '79 e dell'84 sono, come prassi dell'epoca, lungometraggi che sintetizzano al cinema l'intera serie televisiva (il secondo, Revival of the Giant Machine Gigant, è uscito come doppia proiezione insieme a Nausicaä della Valle del Vento), mai usciti fuori dal Giappone e neppure mai sottotitolati. Ancor più rimosso dalla memoria collettiva è il "seguito" televisivo ufficiale (teoricamente, visto che non ha alcun punto in comune a parte il titolo) uscito nel 1999, Conan il ragazzo del futuro II: L'avventura di Taiga, realizzato da Nippon Animation senza alcun coinvolgimento di Miyazaki.

Curiosità: il vecchio progetto Kaitei Sekai Isshû verrà resuscitato in ben altre due occasioni, molti anni dopo. Col film Laputa: Il castello nel cielo (1986), nuovamente a opera di Miyazaki, e con la serie televisiva Nadia: Il mistero della Pietra Azzurra (1990), diretta da Hideaki Anno.

(scritto da Simone Corà e Jacopo Mistè)

Voto del Corà: 9 su 10
Voto del Mistè: 8 su 10

ALTERNATE RETELLING
Future Boy Conan (1979; film)
Future Boy Conan: Revival of the Giant Machine Gigant (1984; film)


FONTI
1 Pagina web (in lingua francese) http://mobilismobile.free.fr/oeuvres/fiche.php?id=157, che rievoca con dovizia di particolari la storia del progetto Kaitei Sekai Isshû. La cosa è confermata da Shito (Gualtiero Cannarsi, traduttore ufficiale Lucky Red di tutti i film Ghibli) in un post apparso nel forum Pluschan, dopo che ha conversato con il chara designer Yoshiyuki Sadamoto, nonostante confonda la TOHO con la TV di stato NHK (che effettivamente, anni dopo, rileverà i diritti di Kaitei Sekai Isshû). http://www.pluschan.com/index.php?/topic/717-shingeki-no-bancio-attack-on-bancio/page-32#entry186174. Infine, terza e ultima conferma deriva da pag. 572 di "The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition" (Jonathan Clements & Helen McCarthy, Stone Bridge Press, 2012)
2 Mangazine n. 28, Granata Press, 1993, pag. 15
3 Intervista a Hayao Miyazaki pubblicata su Mangazine n. 20 (Granata Press, 1993, pag. 38)
4 Vedere punto 2, a pag. 16
5 Intervista a Junzo Nakajima, produttore della serie, da parte di Bandai, effettuata nel 1990 e riportata su Mangazine n. 28 (pag. 19)
6 Come sopra
7 Come sopra, a pag. 20
8 Vedere punto 2, a pag. 16
9 Vedere punto 5
10 Vedere punto 2, a pag. 16
11 Vedere l'intervento di Shito riportato nel punto 1
12 Media di tutti gli indici di ascolto pubblicati su Mangazine n. 28 (pag. 17-19)13 Vedere punto 2, a pag. 16-17
14 Come sopra
15 Intervista a Miyazaki pubblicata su Mangazine n. 28 (pag. 22)

venerdì 21 maggio 2010

Recensione: Bludgeoning Angel Dokuro-chan 2

BLUDGEONING ANGEL DOKURO-CHAN 2
Titolo originale: Bokusatsu Tenshi Dokuro-chan 2
Regia: Tsutomu Mizushima
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Masaki Okayu)
Sceneggiatura: Tsutomu Mizushima
Character Design: Makoto Koga
Studio: Hal Film Maker
Formato: serie televisiva di 4 episodi (durata ep. 13 min. circa)
Anno di trasmissione: 2007



Continuano le disavventure di Sakura, futuro genio del male costretto a sopportare Dokuro, angelico "agente" del futuro incaricato di impedirgli di creare l'arma pedofila finale. Questa volta i due affrontano, con la neo-entrata Zakuro, sorella di Dokuro, fantasmi, prigioni in realtà parallele e il terribile effetto "iper-sensibilità fisica" del leggendario Sensitive Salary Man...

Dopo gli 8 esilaranti episodi di Bludgeoning Angel Dokuro-chan (2005) devono passare due anni prima di un seguito. Attesa a mille, ma risultato finale solo apprezzabile: duole constatare come in quest'arco di tempo l'ispirazione dello staff Hal Maker si sia evidentemente appiattita, anunciata da una opening che ricicla la filastrocca "pulp" della prima stagione cambiandone solo le immagini. La seconda miniserie poco aggiunge alle slavine di sangue e alle tonnellate di siparietti maliziosi delle prime otto puntate, pertanto non in essa non si troveranno innovazioni, evoluzioni dei personaggi, colpi di scena o veri e propri prosiegui di trama, ma soltanto nuovi, brevi episodi in cui Dokuro e colleghe portano scompiglio fisico e ormonale ai poveri maschietti terrestri. È sempre un divertimento vedere l'Excalibolg di Dokuro-chan fare a pezzi Sakura, ma rispetto alla prima serie la qualità delle idee è vistosamente in calando. Ne danno triste notizia, nelle sole quattro puntate che compongono la miniserie, la prima e la quarta, che raccontano una gita scolastica e una rilettura della favola di Urashima Taro, abbastanza svogliate e troppo esageratamente ripetitive nel consueto schema "Dokuro massacra per gioco Sakura-lo resuscita-lo uccide di nuovo". Stupisce poi l'uso del personaggio di Minami, potenzialmente interessante ma ininfluente nella loro trama, probabile che nelle light novel da cui deriva copra un ruolo di maggior rilievo (a questo punto perchè farla apparire?).

Ampiamente migliori, fortunatamente, gli altri due episodi. Ricchi non solo di fanservice ecchi (merito, questo, delle procaci curve della bella neo-entrata Zakuro), ma anche di nuove idee dementi dalla ritrovata capacità di divertire, tra cui un'erotico, violento bagno in compagnia e l'imprigionamento degli eroi in una dimensione alternativa, costretti a tirare delle leve per sperare di aprire un'uscita (solo che queste portano a...). In questi frangenti il regista replica, e lo fa alla grande, le qualità comicamente devastanti della prima stagione, e quindi non importa la non-presenza di una trama, non importa la non-presenza di una chiarezza strutturale e non importa la non-presenza di una solida impalcatura narrativa: a Mizushima, e con lui tutti gli spettatori sbavanti, interessa versare sangue, budella, arti strappati, e farlo nel modo più ironico, cattivo e cinicamente esilarante. E in questi momenti si ride, e molto.


Animazioni sempre buone e disegni sempre insufficienti (perchè Dokuro cambia colore dei capelli?) chiudono l'analisi. Altro non c'è da dire su questa serie brevissima, che ripresenta le situazioni della prima serie ma con meno fantasia. Meno male per alcune gag capaci ancora di ruggire.

(scritto da Simone Corà e Jacopo Mistè)

Voto del Corà: 8 su 10
Voto del Mistè: 7 su 10

PREQUEL
Bludgeoning Angel Dokuro-chan (2005; TV)

lunedì 17 maggio 2010

Recensione: Gurren Lagann - The Lights in the Sky are Stars

GURREN LAGANN: THE LIGHTS IN THE SKY ARE STARS
Titolo originale: Gekijōban Tengen Toppa Gurren Lagann - Lagann-hen
Regia: Hiroyuki Imaishi, Masahiko Otsuka
Soggetto: GAINAX
Sceneggiatura: Kazuki Nakashima
Character Design: Atsushi Nishigori
Mechanical Design: You Yoshinari
Musiche: Taku Iwasaki
Studio: GAINAX
Formato: film cinematografico (durata 125 min. circa)
Anno di uscita: 2009
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit


Sono passati sette anni dalla caduta dell'impero dei gunmen: Simon e la Brigata Gurren ne hanno eretto sulle macerie Kamina City, che in quest'arco di tempo è cresciuta fino a divenire una megalopoli ricca e industrializzata. Oggi Simon e Nia pensano al matrimonio, ma presto scopriranno con orrore perché re Rasen costringeva gli uomini a vivere sottoterra: per impedire loro di civilizzarsi e progredire tecnologicamente, cosa che avrebbe spaventando il minaccioso popolo stellare degli Anti-Spiral portandolo a sentire in pericolo la supremazia nell'universo. Nia scoprirà di essere una di loro e, divenendone un emissario, recapiterà a Simon e compagni il minaccioso messaggio: gli Anti-Spiral condannano il Popolo della Spirale all'estinzione...

Alla distanza di un anno da Childhood's End esce The Lights in the Sky are Stars, secondo film della fortunatissima serie televisiva di Gurren Lagann. Il primo rinarrava a sufficienza, con tanto spettacolo in più, l'arco iniziale della storia, presentando bene i personaggi principali e infarcendo il tutto di ulteriori mattanze grafiche. Cosa aspettarsi dal lungometraggio che dovrebbe riassumere la parte più corposa, intricata e anche action della storia? Per alcuni versi eccellente e per altri accettabile, The Lights in the Sky è un altro gradevole film per chi non ha visto l'originale, ma sopratutto un super-cult per i fan, rappresentando, nelle sue quasi due ore di durata, l'apice supremo, in animazione, del concetto di mazzate robotiche.

Dimenticatevi i focus introspettivi originali, The Lights in the Sky li dimentica volutamente per strada riducendo al minimo spazio la macchiavellica personalità di Rossiu e le ragioni di Yoko, e utilizza il budget per privilegiare ancora più enfasi su combattimenti, esplosioni e fusioni gigantesche, rendendo il film un matrioska di colori ed effetti speciali che, in cambio di una caratterizzazione sui generis di quasi tutti i personaggi chiave, ulteriormente appiattiti dal primo film, dà vita ai più lunghi, frenetici, estenuanti e ammalianti combattimenti mai visti. Se era prevedibile uno snellimento degli infiniti scontri televisivi in virtù di maggior spessore psicologico generale, GAINAX prende tutti di contropiede potenziando selvaggiamente il comparto action, e The Lights in the Sky diventa un memorabile inno al fanservice robotico, alla sboroneria più estrema e alle soluzioni registiche più incredibili.


Invenzioni grafiche, orge di esplosioni apocalittiche, trip psichedelici a base di cazzotti e powerball che si scontrano con violenza esorbitante in un caleidoscopo di colori sgargianti, lunghissimi piano sequenza, una regia frenetica dall'inizio alla fine che non conosce MAI pausa... La meraviglia visiva del film è impossibile da rendere a parole. Guardare questo film significa assistere alla summa visiva estrema del genere, la spettacolarità totale fatta film, con robot colossali che a furia di strabilianti trasformazioni e fusioni arriveranno a ingigantirsi fino a divenire più grandi dell'universo stesso (!), devastandosi a cazzotti in modo bestiale. Di grande impatto le aggiunte inedite: diversi personaggi questa volta non muoiono, e anzi partecipano allo scontro finale con il signore degli Anti-Spiral attraverso nuove memorabili evoluzioni del Lagann. Si arriva così al più lungo scontro finale tra robot di umana memoria, quasi 40 minuti di ininterrotte esplosioni e devastazioni.

Finale purtroppo identico all'originale (un sad ending terribilmente gratuito), ma il film va visto. Di certo per meriti NON narrativi e sotto questo punto di vista si potrebbe rinfacciare a GAINAX di non essere riuscita a migliorare i difetti dell'originale ampliandoli pure, ma volete perdervi la più grande sboronata mecha di tutti i tempi? Prima di qualsiasi altra cosa, The Lights in the Sky are Stars è un'esperienza.

Nota: per completezza con Childhood's End, nell'edizione italiana in dvd di The Lights in the Sky are Stars sono presenti i quattro episodi conclusivi dei Gurren Lagann Parallel Works.

Voto: 7 su 10

PREQUEL
Gurren Lagann: Childhood's End (2008; film)

RIFERIMENTO
Sfondamento dei cieli Gurren Lagann (2007, tv)

mercoledì 12 maggio 2010

Recensione: Bludgeoning Angel Dokuro-chan

BLUDGEONING ANGEL DOKURO-CHAN
Titolo originale: Bokusatsu Tenshi Dokuro-chan
Regia: Tsutomu Mizushima
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Masaki Okayu)
Sceneggiatura: Tsutomu Mizushima
Character Design: Makoto Koga
Studio: Hal Film Maker
Formato: serie televisiva di 8 episodi (durata ep. 13 min. circa)
Anno di trasmissione: 2005

 

Sakura Kusakabe è un ignaro studente delle superiori il cui destino, da adulto, è di diventare il più terribile pedofilo della Storia dell'umanità, inventando una macchina prodigiosa in grado di bloccare la crescita di ogni femmina del pianeta raggiunti i 12 anni di età. Il Paradiso non sta ad aspettare e invia nel passato Dokuro, bellissimo angelo dotato dell'Excalibolg, possente mazza ferrata, col compito di ucciderlo. Peccato che il sicario si innamora inaspettamente del suo obiettivo...

Impregnato di una gustosissima atmosfera splatter, Bludgeoning Angel Dokuro-chan sfrutta letteralmente bacinelle colme di un’esagerazione paradossale, che contengono geyser di sangue, intestini flaccidi, teste che esplodono e arti mozzati, il tutto filtrato da un’irresistibile vena comica, vero punto di forza della miniserie. Quanto più divertente sarebbe L'incantevole Creamy (1983)  se al posto della bacchetta magica la piccola Yuu usasse una letale mazza ferrata, squartando con compiaciuto sadismo il suo Toshio? Prova a farlo immaginare nel 2005 il regista Tsutomu Mizushima, che dopo Haré+Guu (2001) continua a trasporre in animazione la sua dissacrante vena demenziale gettando le fondamenta del suo futuro, quello di legare il nome quasi sempre a opere che mescolano, con raro cattivo gusto e genio, violenza e comicità.

Con gusto maligno recupera dal mondo delle light novel l'adorabile Dokuro-chan, sexy angioletto del futuro dotato di poteri magici: incaricata di tornare nel passato per uccidere il giovanissimo Sakura, impedendogli di creare l'invenzione pedofila definitiva, la piccola ovviamente con l'innamorarsene. Tenterà comunque di adempiere la sua missione impedendogli di trovare l'ispirazione per il "colpo di genio", massacrandolo quando necessario con la sua mazza chiodata nei momenti in cui è sessualmente "ispirato"... L’innocenza e l’ingenuità che convivono nella piccola, procace angelo femminile in casacca studentesca, rientrano di diritto tra le cose più divertenti mai prodotte dall’animazione nipponica. La naturalezza con cui la rabbia si impadronisce di lei e la costringe a usare l’Excalibolg, una mazza ferrata in grado di infliggere torture inimmaginabili, mostra infatti un personaggio che sa essere teneramente odioso e carismatico come pochi altri, e le lacrime agli occhi si versano in più di un’occasione. I suoi esilaranti attacchi di furia, concentrati di grida e piagnistei incontenibili, esplodono assieme agli ormoni di Sakura, ragazzino attratto e respinto dall’entità ultraterrena innamorata di lui. Dokuro-chan, infatti, somma alla sua natura umoristicamente gore robuste iniezioni di erotismo patinato, riscontrabile nelle esplicite allusioni sessuali che l'eroina e le sue colleghe creano involontariamente. E il povero Sakura, nell’età giusta per provare, scoprire, toccare a suo rischio e pericolo, diventa martire inconsapevole del suo amore in un tripudio di violenza e dialoghi brillanti.


Dokuro-chan non è sicuramente una produzione per tutti i gusti, vista la sua compiaciuta iper-violenza e l'ironia nerissima di cui è infarcita, ma chi ama il politicamente scorretto adorerà le avventure della protagonista. Delirante nella vena umoristica, capace di tratteggiare una galleria di personaggi assurdi nella miglior tradizione Lamù/Ranma ½ (l’angelo nudista, il ragazzo-scimmia) e depositario di tante idee cretine quanto esilaranti (cosa succede se si ruba l'aureola a un angelo?), l'opera di Mizushima è in più punti semplicemente irrestibile. Sebbene non ci sia né un vero e proprio inizio né tanto meno una conclusione che si possa chiamare tale, l’intreccio offre un solidissimo reparto dialogico che, per mezzo della sua natura goliardica, fa dimenticare istantaneamente delle incongruenze narrative e dei vari comprimari che sembrano apparire dal nulla. Con due protagonisti splendidamente caratterizzati, in grado di sprigionare risate e tormentoni con soli pochi secondi di apparizione, la serie può permettersi questo e altro, e niente potrebbe scalfire l’ottima impressione che rimane a visione terminata. Sicuramente il chara design mediocre ed essenziale di Makoto Koga e una certa ripetitività di fondo nelle gag rappresentano dei piccoli nei nella visione, ma vista la brevità di quest'ultima, la sua freschezza (grazie anche alle ottime animazioni) e la sua originalità nel raccontare la storia di una spietata e kawaii majokko "dark", il Seal of Approval è comunque meritato e senza troppe riserve. Aggiungiamoci una sigla d'apertura che intona una trascinante filastrocca di sevizie, ed ecco servito l’anime demenziale che tutti dovrebbero vedere.

(scritto da Simone Corà e Jacopo Mistè)

Voto del Corà: 9 su 10
Voto del Mistè: 8 su 10

SEQUEL 
Bludgeoning Angel Dokuro-chan 2 (2007; TV)

lunedì 10 maggio 2010

Recensione: Fafner in the Azure - Dead Aggressor

FAFNER IN THE AZURE: DEAD AGGRESSOR
Titolo originale: Soukyuu no Fafner - Dead Aggressor
Regia: Nobuyoshi Habara
Soggetto: XEBEC
Sceneggiatura: Kazuki Yamanobe, Tow Ubukata
Character Design: Hisashi Hirai
Mechanical Design: Naohiro Washio
Musiche: Tsuneyoshi Saito
Studio: XEBEC
Formato: serie televisiva di 25 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2004

 
In un lontano futuro, a seguito dell'invasione dei misteriosi e giganteschi Festum, buona parte del pianeta Terra è stato distrutto. La remota isola giapponese di Tatsumiya, però, protetta da una barriera difensiva garantita da sofisticati equipaggiamenti militari, riesce a sopravvivere, e i suoi abitanti vivono così isolati in un piccolo paradiso autarchico. La pace non durerà per sempre: un giorno i Festum scoprono l'isola e iniziano gradualmente ad attaccarla. Le autorità si difenderanno utilizzando i Fafner, potenti robot da combattimento, facendoli usare ai cosidetti Alvis Children, ragazzini addestrati inconsciamente a sviluppare il proprio talento dai loro genitori adottivi fin dall'infanzia. L'origine dei ragazzi è però sconosciuta, legata a quella degli stessi Festum...

Se c'è una cosa che non si può negare di Evangelion, oltre al suo successo stellare, è sicuramente la grande influenza che avrà nell'incipit di partenza di diverse di successive incursioni sci-fi/robotiche. Dopo l'ottimo RahXephon made in BONES esce a due anni di distanza Fafner in the Azure di XEBEC, aka nuovo gruppo di ragazzini depressi usati da militari contro nuove entità aliene, con nuovi, avanzati robottoni da combattimento in una storia nuovamente satura di riferimenti religiosi (accantonata la cabala arriva la mitologia nordica col suo bel carico di nomi altisonanti quali Fafner, Siegfried etc a dare il nome a mecha e armi). In realtà Fafner, come RahXephon del resto, si discosta sensibilmente da Evangelion in più riprese, sfruttandone il soggetto iniziale per poi prendere una strada tutta sua e senza psicanalisi o episodi sperimentali. Peccato solo che il suo intreccio, complesso e corposo, è funestato da una cura spaventosamente bassa nel ricamarlo, unita a una pessima caratterizzazione del cast.

Senza voler anticipare troppo, c'è di cui pensare sul come molte sono le personalità del gruppo che muoiono lungo il dipanarsi della trama: si sacrificano, stringono amicizie profonde, vivono tragiche storie d'amore prive di lieto fine, ma non ve ne è capace di trasmettere qualche stato emotivo diverso dall'indifferenza. Così compiaciuto, lo staff XEBEC, nello scrivere un soggetto che si stratifica in mille domande enigmatiche e rivelazioni, con episodi saturi come non mai di informazioni e terminologie tecniche da tenere in mente, da dimenticarsi, tragicamente, le regole base del come si  racconta una storia.


Non basta una bella confezione retta su ottime animazioni, splendidi fondali e fantastici disegni di Hisashi Hirai (spaventosamente simili a quelli di Gundam SEED Destiny che esce pochi mesi dopo, al punto che Shinn Asuka si può definire tranquillamente un alter ego del protagonista Kazuki Makabe) per mascherare l'assoluta freddezza con Fafner è narrato, verbosissimo, con un background fantascientifico mal spiegato, tantissima confusione narrativa e personaggi così freddi e distaccati da non comunicare sentimento.

Se c'è una cosa che XEBEC e il suo sceneggiatore Tow Ubukata devono imparare per il futuro è che del tutto inutile massacrare lentamente l'intero cast e condire il tutto con un impianto drammatico esasperato se non si hanno le capacità di far affezionare lo spettatore, per l'appunto, a tali personalità. Se si vuole renderle profonde o convincere a empatizzare con le loro patinate storie d'amore non bastano frasette platoniche e di una banalità disarmante del livello di "promettimi di non dimenticarti di me", magari ripetute più volte nello stesso episodio, ma dialoghi genuini e inattaccabili, fatti dire da ragazzini veri, spaventati e privi di idee sul futuro, non da adulti mancati che a 16 anni sono già machiavellici e serissimi. Ma sopratutto, se i robottoni, ambo buoni e cattivi, sono esteticamente così anonimi da sembrare quasi orribili, perché privilegiare numerosissime, interminabili battaglie tra di loro a discapito di un maggior approfondimento psicologico generale? Fafner racconta un'ambiziosa storia corale - vissuta dal punto di vista delle autorità militari, degli Alvis Children, delle loro famiglie - piena di misteri, gestisce un cast di individui potenzialmente interessanti, reca in sè twist notevoli, epicici in certi frangenti, ma è scritto troppo male, così vanitoso nella sua esasperata complessività narrativa da disinteressarsi agli elementi primari di uno spettacolo, risultando noiosissimo, caotico, gelido, con personaggi-attori che recitano la loro parte in un interminabile monologo che non comunica né amore né interesse, ma solo tedio.


Beffa finale le opening ed ending, cantate dalla sensuale voce della bravissima Angela: tali capolavori di misticismo da entrare di diritto tra le più belle di tutti i tempi, del tutto sprecate in una produzione così mal riuscita. Così come è sprecato l'alto budget riversato nel progetto, e ci si domanda scioccati come possa aver generato addirittura uno special televisivo e ben due film cinematografici, con in cantiere una nuova serie tv. Segno che a qualcuno è piaciuto, e questo è davvero il più grande mistero della produzione.

Voto: 5,5 su 10

PREQUEL
Fafner in the Azure: Right of Left (2005; special tv)

SEQUEL
Fafner in the Azure: Heaven and Earth (2010; film)
Fafner in the Azure: Exodus (2015; tv)

venerdì 7 maggio 2010

Recensione: Perfect Blue

PERFECT BLUE
Titolo originale: Perfect Blue
Regia: Satoshi Kon
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Yoshikazu Takeuchi)
Sceneggiatura: Sadayuki Murai
Character Design: Hisashi Eguchi (originale), Hideki Hamasu, Satoshi Kon
Musiche: Masahiro Ikumi
Studio: Mad House
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 80 min. circa)
Anno di uscita: 1997
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video

 
Mima Kirigoe, idol affermata, decide di ritirarsi dal mondo musicale per tentare una carriera cinematografica. Nonostante molti fan critichino una scelta così azzardata la ragazza ottiene una piccola parte in una serie tv dalle atmosfere lugubri e violente. E mentre, per esigenze di trama, si ritrova a posare per molte, difficili scene di nudo, alcuni sanguinari omicidi sconvolgono la sua vita: sembra che l’assassino stia prendendo di mira la crew del serial, ma tutti brancolano nel buio, e lei, terrorizzata dal comportamento di un terribile ammiratore stalker, non sa più distinguere la realtà dalla fantasia...

L’acclamato esordio di Satoshi Kon del 1997 è pellicola che potrebbe apparentemente prendere in contropiede per certi spunti di partenza alquanto banali: una cantante di successo che decide di vestire nuovi ruoli; un orrendo, disgustoso fan che sembra pedinarla ovunque lei vada, e terribili omicidi sul set di lavoro, che colpiscono proprio chi la costringe alle parti più scomode. Siamo però su campi narrativi di estrema raffinatezza, dove un soggetto, tratto dal romanzo omonimo di Yoshikazu Takeuchi, per quanto semplice e derivativo, è scheletro essenziale nonché funzionale di una coralità di registri e soluzioni che rendono Perfect Blue forte e sicuro fin dai primi minuti.

Grande spessore psicologico e potente resa visiva permettono così di lasciarsi affascinare da questi temi che, sebbene prevedibili, colpiscono per rara eccellenza dialogica e per notevole estro registico. Merito di Sadayuki Murai, sceneggiatore del film che dopo Perfect Blue si incammina in una strada costellata di soddisfazioni e riconoscimenti. Ma sono sopratutto le sfumature oniriche, che nella seconda metà del film prendono il sopravvento, ad arricchire l'accento visionario, già di suo incontenibile. Kon vi lega la sua poetica, immergendo i suoi attori - quasi sempre i protagonisti - in una dimensione sospesa tra realtà e sogno: stratagemma sì classico ma realizzato però con furba maestria nel trasmettere la psiche vicina al tracollo dell'angosciata Mima. Interessante notare poi come il regista non freni dinanzi a ghiotte esplosioni di sangue e lunghe scene di nudo, entrambe costruite con un certo, disturbante tocco poetico che confluisce in un’atmosfera perennemente cupa e minacciosa, risaltata anche da un montaggio incalzante. La discesa oscura in cui precipita Mima è garantita infatti da un crescendo opprimente, dapprima bilanciato da sequenze ariose, che poi sfumano totalmente in un tono grigio, denso come nebbia. Stupisce infine la rivelazione conclusiva e la scoperta dell’assassino, identità a parere di chi scrive tenuta magistralmente nascosta per tutta la pellicola: era facile aspettarsi, timorosi o meno, una potente esplosione onirica che portasse completo disordine mentale e visivo, ma si è scelto invece per un vincente esito realistico che sciolga tutti i nodi intrecciati. Finale che, splendido, collega la pellicola ai migliori film di De Palma e Argento, come riconosciuto in tutti i festival in cui l'opera primeggia, compreso il Fantasia International Film Festival di Montreal dove quell'anno è premiata come miglior lungometraggio asiatico.


Poco da dire sul comparto tecnico: splendido il chara design di Kon e Hamasu, armonioso e preciso e che scivola piacevolmente sul grottesco caricaturale nell’accentuare alcune personalità, ed eccellenti le animazioni fornite da Mad House. Film intenso e magnetico nonostante un’idea iniziale che, a quindici anni dalla sua realizzazione, potrebbe non incuriosire a sufficienza, Perfect Blue merita visione attenta e vissuta. Unico rammarico, e non da poco, l'elemento horror che risalterebbe tanto, tanto di più in un film con bravi attori in carne e ossa. L'opera nasce ufficialmente così nel 1995, salvo trasformarsi in una serie OVA affidata alle mani di Katsuhiro Otomo dopo il terremoto di Kobe che rende impraticabili i teatri di posa. Alla fine l'autore decide di trasformare ulteriormente la serie in un film d'animazione, affidandone la regia al suo assistente Kon e limitandosi alla supervisione. Il film-live uscirà finalmente nel 2002 (Perfect Blue: Yume nara samete), penalizzato però da una forte piattezza interpretativa.

Voto: 7 su 10

lunedì 3 maggio 2010

Grazie Dynit

Grazie per lo sfavillante annuncio uscito oggi sulla tua homepage.

Sinteticamente...

Annunciati i tre film di Gundam 0079 (recensiti qui, qui e qui), i tre riassuntivi di Z Gundam (da dimenticare), Il Contrattacco di Char, Gundam F91, Gundam 0083 L'Ultima Scintilla di Zeon (robetta) e il film riassuntivo di Gundam Wing Endless Waltz (bleah).

Oltretutto, ad autunno vedremo a Lucca (speriamo!) anche la grande serie oav Gundam 0083 Stardust Memory.

Che dire... Dynit si riconferma, per l'ennesima volta, la miglior casa editrice anime in Italia.
Le sue eccellenti edizioni parlano da sole, e rimane l'unica capace di portare qui FINALMENTE, dopo oltre 30 anni, le grandi saghe del più famoso mobile suit bianco della Storia.

Caldamente consigliati gli acquisti, appena saranno disponibili.

Recensione: Le avventure di Leda

LE AVVENTURE DI LEDA
Titolo originale: Genmu Senki Leda
Regia: Kunihiko Yuyama
Soggetto: Kaname Kikaku
Sceneggiatura: Junki Takegami, Kunihiko Yuyama
Character Design: Mutsumi Inomata
Mechanical Design: Takahiro Toyomasu
Musiche: Shiro Sagisu
Studio: Kaname Production
Formato: OVA (durata 70 min. circa)
Anno di uscita: 1985



Genmu Senki Leda (letteralmente Le cronache oniriche di Leda, in Italia Le avventure di Leda) è un anime di un solo episodio che nel 1985 ha goduto di una grande notorietà: si trattava, infatti, di uno dei titoli di maggior incasso nel neonato mercato degli Original Video Anime1, tanto che, insieme a Megazone 23, altra hit del periodo, avrebbe aperto le porte al boom dell'animazione home video. Si trattava di un ottimo lasciapassare, con cui lo studio Kaname Production, fondato nel 1980, ha potuto far parlare di sé e trovare i finanziamenti necessari a produrre quel costoso, sfortunato lungometraggio C'era una volta Windaria (1986) che avrebbe decretato velocemente la sua scomparsa. Pur nulla di trascendentale dal punto di vista di trama e personaggi, in quell' 1 marzo 1985 Leda già esordiva presso il suo pagante pubblico otaku con la principale dichiarazione d'intenti degli anime riservati all'uso casalingo: priorità totale all'estetica, non importa se al prezzo di zero contenuti. Conta la capacità di stupire, di meravigliare l'occhio dello spettatore.

Coerentemente con suddetto manifesto, la trama non poteva che essere una storia fantasy di impianto ultra-classico: una timidissima e insicura ragazza, Yoko, che vuole dichiararsi al suo belloccio senza riuscirci, finisce per puro caso risucchiata in un mondo fatato, scopre di essere la guerriera divina di una leggenda locale, usa i suoi poteri appena acquisiti per combattere il crudele tiranno di turno che vuole conquistare le terre magiche e infine torna al suo pianeta piena di grinta per confessarsi al suo amato senpai. Le avventure della rossa ragazza nel magico e anonimo mondo di Ashanty non hanno nulla che le distingua nel genere e cadono perciò - probabilmente quasi volentieri - vittime di ogni genere di banalità, di un livello tale che gli sceneggiatori neanche ritengono interessante spenderci spiegazioni sopra. Da quest'approssimazione nascono fatti inspiegabili come un fiore che senza alcun motivo fornisce a Yoko la mistica e succinta armatura di Leda, quest'ultima (un bikini corazzato) che non si capisce che poteri trasmetta alla ragazza visto che si limita a cambiarle l'abbigliamento e basta (di nuovo lei sa solo menare fendenti con la spada), oppure i due comprimari di lei che la aiutano a costo della vita e senza alcun motivo per farlo, etc. Leda è una produzione di originalità nulla, che tenta di fare presa sugli appassionati (o meglio, appassionate) di fantasy e shoujo, costruendo una storiella di zero pretese dagli inserti romantici/smielati e reggendosi su una confezione sontuosa. Inutile dirlo, è in quest'ultimo aspetto che l'opera trova il suo unico motivo di esistere: guardandola, non si può non pensare ai soldi impiegati nell'animare e disegnare così bene un titolo così banale ma figlio degli anni '80 migliori, quelli in cui la "Seconda generazione di registi" nata con Fortezza Super Dimensionale Macross (1982) realizzava le sue produzioni sfruttando ogni briciola di budget per renderle graficamente indimenticabili.


In questo contesto, fondali curatissimi e carichi di dettagli illustrano un mondo fatato stereotipato e non approfondito, ma vivido, pulsante e traboccante di senso di meraviglia con le sue foreste magiche, le rovine di civiltà perdute, castelli e fortezze volanti, flora e fauna fantasy, splendidi effetti speciali e paesaggi da cartolina. Le animazioni fluidissime accompagnano un chara design eccezionale, colorato ed espressivo, di Mutsumi Inomata, illustratrice/animatrice - co-fondatrice della stessa Kaname Production - dall'immenso talento nell'ideare personaggi e tipologie di razze dal contesto fantasy (tanto da diventare, in futuro, una delle colonne portanti nel chara design della saga J-RPG Tales Of... di Namco). Shiro Sagisu compone un accompagnamento musicale sui generis, mentre Kunihiko Yuyama una regia vivace e briosa. Leda, in effetti, nonostante le perplessità della trama, è davvero molto scorrevole e pieno di notevoli sequenze spettacolari, come inseguimenti spericolati su mini-navicelle, giganti mostruosi che prendono vita e distruggono intere città, duelli di spada, magia, fulmini e saette, astronavi grondanti stupefacenti dettagli visivi... Si può rinfacciare a Leda tutta la mancanza di originalità del mondo e un romanticismo idealizzato e infantile, ma se il suo scopo, come buona parte dei più riusciti OVA del periodo, era quello di cullare lo spettatore con una storia da assaporare a cervello spento, zeppa di prelibatezze grafiche che sfruttavano al massimo le potenzialità tecniche dell'animazione dagli occhi a mandorla, non si può negare che tale scopo era, ed è tutt'ora, perfettamente raggiunto. Chi è interessato a una produzione Eighties che più Eighties di così si muore, troverà in Le avventure di Leda uno dei titoli che cerca.

Nota: la versione italiana attualmente distribuita in DVD da Quadrifoglio pecca di sottotitoli fedeli che riscattino il vecchio doppiaggio storico, rovinato da un abnorme numero di precisioni e invenzioni (terribili le linee di dialogo inserite nei momenti di silenzio).

Voto: 6 su 10


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 179

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